Il Sesto continente della Banda di Piazza Caricamento
Musica Terzo album per l'ensemble genovese multietnico. Ospite Antonella Ruggiero
Musica Terzo album per l'ensemble genovese multietnico. Ospite Antonella Ruggiero
Il Sesto Continente è come l’Isola che non c’è: il fatto che non ci sia non è una buona ragione per smettere di cercarla. Il Sesto Continente «È la musica che si genera nelle città popolate dall’incontro tra genti straniere, residenti e/o in transito. Non world music, ma musiche da mondi in arrivo e in partenza continua, musiche che rispondono alla domanda ’scusi sa dove andiamo?’». Sono parole di Davide Ferrari, le trovate in apertura del libretto che accompagna Il Sesto Continente, terzo exploit discografico della Banda di Piazza Caricamento. Una delle preziose realtà multietniche nate nella Penisola, e minacciate da un brutto clima avvelenato che trova facile bersaglio nei più deboli. Il Sesto Continente nasce da un binomio di inneschi: uno spettacolo teatrale andato in scena allo Stabile di Genova, Voglio tornare a casa, l’incontro nel 2010 con Antonella Ruggiero. Ora nel Sesto Continente con Ninna Nanna per Yanuska.
Otto anni sono tanti, nel tenere insieme un ensemble in cui si avvicendano giovani musicisti di mille culture diverse: «Più o meno quaranta, direi», precisa Ferrari. Anni fa il jazzista Pietro Leveratto scrisse che tenere in vita una big band a Genova è come guidare un Tir nei carruggi: Ferrari rincara, precisando che «il Tir è anche spesso con la benzina in riserva. Serve un’energia incredibile. Ma il bilancio è straordinariamente positivo, superiore alle aspettative: tre cd, tour in Italia e Europa, la Ruggiero con noi sul palco, il premio di Amnesty International, Sarajevo e gli strumenti portati ai bambini di Tuzla, il lavoro nelle banlieu francesi, i concerti nei quartieri a rischio e nelle carceri, per arrivare alle cittadinanze italiane di alcuni dei ragazzi africani e le carriere musicali post Banda che alcuni hanno sviluppato. Le prospettive vanno di pari passo con le stanchezze: più lavoro musicale che significa disciplina, impegno nella presenza, nelle prove e nello studio. Un unico limite: non poter garantire sufficienti entrate economiche sufficienti a far vivere di sola musica i ragazzi.»
Non è un bel momento per chi si occupa di incontri interculturali e di note in bilico tra tradizione e innovazione, ma Ferrari precisa che non s’è mi sono mai interessato ai risvolti interessi mediatici della musica: «Quando ho iniziato ad occuparmi di musiche del mondo non c’era neanche un djembee, un tamburo africano in Italia. Erano gli anni ’80. Oggi è la percussione più diffusa e studiata. Il brutto momento per me è soprattutto come viene fruita la musica. Download frenetico ed immediato, che porta a vivere la musica in modalità da fast food, senza il gusto di quello che assaggi. Questo per le nuove generazioni non è sano. Quantità al posto di qualità». Quindici anni fa il Mediterraneo era quasi una moda culturale, e oggi? «Il dialogo deve partire all’interno delle case, dei palazzi, delle strade, dei negozi, dei quartieri, delle scuole.
L’individualismo ha preso il sopravvento, porta all’isolamento, al rifiuto dell’altro. Non credo sia un fattore di culture. Nelle città si sparano per un parcheggio o per una squadra di calcio. È inutile parlare di accoglienza delle culture altre quando il quotidiano è fatto di appropriazione indebita, di iper-protezione della proprietà privata, di mancanza di rispetto, di non ascolto».
Il nuovo disco ha un equilibrio molto «cameristico» rispetto alle prove precedenti. Una conseguenza dal fatto che è entrata in banda la voce magnifica di Lorraine McCauley, uno spicchio di cultura «gaelica»? «I brani sono nati nell’arco dell’ultimo anno, praticamente con un nucleo di musicisti in movimento. L’entrata di Lorraine McCauley, voce irlandese e di Parveen Khan, voce indiana, hanno lasciato forse un segno più melodico alle composizioni , poiché sotto le loro voci spesso i brani nascevano da arpeggi di chitarra.»
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