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Il sentore dolciastro del quotidiano profuma di frutta troppo matura

Compose Padiglione del Giappone. Fino al 24 novembre
Pubblicato un giorno faEdizione del 26 settembre 2024

Il sentore dolciastro di frutta troppo matura all’interno del padiglione giapponese ai Giardini della Biennale, in occasione della 60esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, curata da Adriano Pedrosa e intitolata Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere (fino al 24 novembre), intercetta lo sguardo del visitatore lanciato all’inseguimento dell’andamento irregolare della luce.

PER YUKO MOHRI (Kanagawa, Giappone 1980, vive e lavora a Tokyo), invitata dalla Japan Foundation a rappresentare il Sol Levante (la curatela è della coreana Sook-Kyung Lee), un’altra componente «fenomenologica» fondamentale è legata al suono: una musica che nasce dallo sconfinamento tra circostanza fortuita, casualità e improvvisazione. La stessa artista, che tra settembre 2025 e gennaio 2026 sarà protagonista della personale negli ex spazi industriali della Pirelli HangarBicocca di Milano, cita Erik Satie e John Cage in associazione ai ready-made di Marcel Duchamp come fonte d’ispirazione per la realizzazione delle sue installazioni cinetiche site-specific.

Ma, a Venezia, nel padiglione costruito nel 1956 su progetto dell’architetto Yoshizaka, alla base del ritmo sincopato dell’«armonia del quotidiano» c’è proprio la frutta.

FRAGOLE, MANDARINI, uva bianca e nera, kiwi, ananas, mele rosse, mele, arance, limoni, banane… forme plastiche naturali che con il tempo e gli agenti atmosferici (umidità e polvere incluse) subiscono il processo di maturazione che risulta accelerato in presenza di trattamenti con l’etilene. Cambiano le proprietà organolettiche e la vista e l’olfatto traducono come immediatamente percepibile quella trasformazione della frutta con gli strati di muffe verdi-grigiastre e le ammaccature. Ecco, allora, spiegato l’insistente odore all’interno della mostra Compose.

«IL TITOLO SI RIFERISCE al modo in cui vengono sistemati gli elementi nell’ambito di una struttura, ma sono interessata anche alla parola in sé – com-pose – al suo significato di mettere insieme. È proprio ciò che faccio sempre nella mia pratica artistica. Uso oggetti del quotidiano, ne colleziono di ogni genere, trovati o acquistati in internet. I materiali mi danno molte idee e mi piace sia capire il modo in cui si sono sviluppati che le storie che si portano dietro, così come immaginare storie partendo dall’oggetto», afferma Yuko Mohri.

INSERITI NEI FRUTTI POGGIATI sui mobili d’epoca, gli elettrodi conducono energia che viene trasformata in suoni amplificati dagli speaker, mentre gli imbuti si muovono insieme a tubi di gomma, innaffiatoi di metallo, bacinelle di plastica, ombrelli, padelle, bottiglie, taniche e luci. Il tono del suono e l’intensità della luce sono intermittenti, in base all’energia prodotta nella fase di rigenerativo decadimento. L’opera di Mohri è un invito a riflettere sulla complessità degli aspetti della società contemporanea, sull’ambiente e l’ecosistema. Proprio le criticità portano spesso ad affrontare e cercare di risolvere le problematiche più urgenti, come nei corridoi delle stazioni della metropolitana di Tokyo, dove l’artista aveva notato l’ingegno creativo degli operai nel tamponare con assemblaggi di objet trouvé (ombrelli rotti, buste e bottiglie di plastica, ecc.) le perdite di acqua causate dai frequenti terremoti, scavi e demolizioni e che, nel 2009, l’aveva portata a realizzare il progetto Moré Moré Tokyo (Leaky Tokyo) di cui Compone è l’evoluzione.

«A VENEZIA, PARLANDO con il garden designer dei Giardini della Biennale – spiega Mohri – ho scoperto molte storie legate alla frutta, ad esempio quali erano le varietà autoctone del XVII secolo». La tensione tra elementi visibili e invisibili è un’altra presenza innegabile: «Umidità, eco, luce naturale, temperatura, polvere… sono tutti elementi invisibili presenti anche nell’architettura del padiglione del Giappone. Mi incuriosiscono perché sono correlati alla vita, cambiano in continuazione. Il risultato del lavoro dipende sempre dal modo in cui questi fenomeni collaborano fra loro».

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