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Il senso di responsabilità e il leader politico

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Verità nascoste La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 25 novembre 2017

La cosa che più denota un leader politico col senso di responsabilità, è la sincerità. Non il parlare ai cittadini «con il cuore in mano» ma la consapevolezza delle reali condizioni in cui opera e dei limiti della sua azione.

Spesso la sincerità è sostituita dal realismo: il miglior modo di perdere il contatto con la vita, guardare il mondo nello spazio illuminato dal palo di luce a cui si resta attaccati. Il legame autentico con la realtà richiede, invece, la capacità di sognare, di immaginare, di intuire. Non temere l’imprevisto e saper trarre vantaggio dalla sorpresa e dall’inconsueto.

Bisogna diffidare del leader politico il cui rapporto con la realtà consiste esclusivamente nell’attenta valutazione dei rapporti di potere economici e ideologici in cui è immerso. Più diventa capace di conoscere i loro meccanismi, nella speranza di gestirli a suo favore, più sono essi a gestirlo, per espellerlo, quando non è più necessario, dal loro mondo. A meno che egli non diventi del tutto omogeneo al loro funzionamento, parte di una arrogante, potente cecità che gira su se stessa distruggendo i sogni dei cittadini.

Conoscere la prigione ha senso solo se ciò ci consente di uscirne (Calvino). Restarci dentro, per potere padroneggiare la sua logica, è folle.

Cosa ci dice il «problema dei prigionieri», nelle sue diverse varianti, se non che quando per uscire da uno stato di detenzione si deve affrontare un dilemma escogitato dal direttore del carcere, anche il mondo di fuori è diventato una prigione?

Un leader politico responsabile non può avere una vaga idea delle nostre oggettive condizioni di vita, agendo come se di esse nulla volesse sapere. Nel nostro mondo, che non è quello reale, reso remoto ma una costruzione arbitraria inventata da una sua visione perversa, non c’è molto di cui essere contenti. La concentrazione in crescendo della ricchezza del mondo nelle mani di pochissimi non fa scandalo, tanta è l’assuefazione all’assurdo.

Permanendo in questa situazione, la vera causa di una crisi solo agli inizi dei suoi effetti più devastanti, l’uscita dal tunnel che abbiamo imboccato non potrà essere che una catastrofe ben più temibile di quelle del passato.
Intanto in due paesi di fondamentale importanza per i destini del pianeta, la Cina e la Russia, si è consolidato un regime oligarchico fondato su «un uomo solo al commando».

Le democrazie occidentali sono una minoranza sempre più debole circondata da logiche assolutiste, che peraltro, le minano dall’interno: le istituzioni politiche poco possono nei confronti delle oligarchie economiche che, lasciando loro un controllo formale, ci gestiscono, di fatto, la vita.

Minata dall’interno e minacciata dall’esterno, la democrazia non avrà un grande futuro se questo stato delle cose persistesse.

C’è una corruzione del nostro modo di vivere che viene dalla perversione del desiderio, la sua conversione in bisogno che va di pari passo con l’avanzamento imperioso dell’oligarchia.

Questa corruzione è potentissima perché non ha altra logica che quella dell’agire per non sentire, l’oppio dei popoli dei nostri giorni.

La società dei bisogni ha infinite possibilità di produrre esigenze artificiali, di predeterminare la domanda di sollievo dalle tensioni e allargarla senza limiti, creando la dipendenza dei molti dai pochi. La perversione è insaziabile: assetata di soddisfazione, che le è preclusa, cerca sempre il di più, senza sosta.

Il leader politico che ha perso la bussola, può ritrovare la responsabilità. Scegliere di non fare un salto nel buio e accontentarsi di ciò che si è conquistato: «il passo indietro».

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