Cultura

Il senso di Gian Piero Piretto per le «Eggs Benedict»

Il senso di Gian Piero Piretto per le «Eggs Benedict»Gian Piero Piretto

SCAFFALE/ 2 Domani l’autore presenterà il suo libro in Sala Sirio, nell'ambito di Più Libri Più Liberi

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 3 dicembre 2021

È capitato a molte e molti, durante le clausure che ci sono toccate nell’ultimo anno e mezzo, di approfittare di quei giorni forzatamente liberati per passare in rassegna vecchie foto, souvenir di vacanze lontane, oggetti rimasti a lungo sepolti in fondo ai cassetti. Impossibilitati a muoverci nello spazio, abbiamo finto di rimettere in ordine le nostre case per potercene allontanare, viaggiando nel tempo.

COSÌ TRA GLI ALTRI ha fatto Gian Piero Piretto, celebrato studioso di cose russe e sovietiche, felicemente poco inscrivibile in una categoria precisa: slavista in primo luogo, certo, e al tempo stesso conoscitore attento di cultura visuale, docente carismatico (oggi pensionato felice), grande viaggiatore. E infine, come si deduce dal suo libro più recente, cuoco sperimentato: Eggs Benedict a Manhattan si intitola infatti il volume (Raffaello Cortina, pp. 247, euro 19) che porta un sottotitolo anche più eloquente: «Ricette metropolitane di un professore poco ordinario».

Tuttavia, per quanto l’autore si auguri di vederne le pagine «guarnite con schizzi d’olio, adornate con ditate al pomodoro e incipriate di spezie e di farina», e per quanto le sessanta «ricette metropolitane» scandiscano ogni capitolo e occupino quasi un terzo del testo, questo non è (solo) un libro di cucina. Piretto stesso ammette nell’introduzione che alla base di Eggs Benedict c’è stato un intento autobiografico accompagnato dal lavoro di scavo – svolto appunto durante il primo lockdown – tra «immagini, documenti, tessere, cartoncini pubblicitari, ricevute, lettere, cartoline, biglietti e programmi teatrali». (Un elenco che non sorprenderà chi ha letto e apprezzato titoli precedenti dello studioso, come la deliziosa Vita privata degli oggetti sovietici, Sironi 2012).

E SEBBENE in corso d’opera Piretto abbia saggiamente deciso di espellerne i fatti di natura privata, il libro resta innanzitutto un’autobiografia – individuale e anche collettiva. In tante, in tanti, potrebbero riconoscersi nella scansione per decenni con cui sono ordinati ricordi e ricette: chiusa la «Infanzia piemontese» (ma la nativa Nizza Monferrato tornerà in età adulta, con la bagna càuda e il merluzzo al verde), ci sono gli «affollati Settanta», gli «edonistici Ottanta», gli «sconclusionati Novanta» e i nostri «tecnologici Duemila».

Non solo: appartiene alla generazione di Piretto, gli oggi poco amati boomers (i primi ad avere preso consuetudine con i treni e gli aerei, anche quando non esistevano i viaggi low cost), il senso inebriante della scoperta dei luoghi (la Londra pre-Thatcher, pulsante di vita, non ancora gentrificata e globalizzata, o la Mosca della stagnazione brežneviana, prodiga di incontri stupefacenti nelle cucine fumose) e di nuovi modi di vivere: la felice libertà di San Francisco o più semplicemente la gioia di potersi spostare a piacimento per Parigi con la Carte Orange.

E appartiene alla sua generazione il disincanto per un mondo che è o perlomeno appare meno accogliente. Ma è un disincanto lieve, passeggero: restano, per fortuna, luoghi da scoprire e piatti da provare. Non a caso il libro si chiude con una ricetta, l’insalata vietnamita di fiori di banano, che proietta autore e lettori verso sapori inediti, paesaggi ignoti. Un invito, anche, a guardare oltre le clausure contingenti: «Luoghi, cibi e persone torneranno a essere frequentabili e protagonisti. Facciamoci trovare pronti».

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