Cultura

Il senso di «aprire processi» nella chiesa di Bergoglio

Il senso di «aprire processi» nella chiesa di Bergoglio

SCAFFALE «Oltre il clericalismo», un saggio del vaticanista Francesco Peloso

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 17 marzo 2021

Otto anni sono un tempo congruo per tentare un primo bilancio di un pontificato e intravederne gli ulteriori sviluppi. Quello di Jorge Mario Bergoglio, eletto il 13 marzo 2013, è stato polarizzato fra le narrazioni, apparentemente opposte ma in realtà speculari, del «papa rivoluzionario» da parte dei sostenitori di Francesco, o del «papa eretico» – proprio perché rivoluzionario – da parte dei suoi avversari conservatori; oppure del pontefice mediatico, «tutto fumo e niente arrosto», e quindi di una «Chiesa immobile» (titolo di un saggio Laterza del sociologo Marco Marzano).
Si sottrae a questo gioco dei contrari, che non aiuta a comprendere a fondo l’èra Bergoglio, l’ultimo libro di Francesco Peloso: Oltre il clericalismo. Preti, donne e laici della Chiesa di Francesco (Citta Nuova, pp. 132, euro 16). Peloso (vaticanista che collabora con Internazionale, Adista e altre testate) individua il nucleo centrale dell’azione di Francesco: non tanto prendere decisioni, tipico di un papa «legislatore», quanto «aprire processi», che possano nel tempo portare a compimento il percorso di riforma iniziato con il Concilio Vaticano II e poi bloccato dai suoi predecessori, Wojtyla e Ratzinger.

SUL TERRENO SOCIALE e, in certo senso politico, dove però il papato può giocare un ruolo esclusivamente culturale, la direttrice è più salda e lineare: le encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, ma anche gli incontri con i movimenti popolari, hanno messo le questioni ambientali e socioeconomiche al centro dell’impegno, anche pastorale, della Chiesa; e il contrasto ai revanscismi nazionalistici, impedendo che il cattolicesimo si trasformi in un collante identitario di destra.
In campo ecclesiale, invece – dove le decisioni del pontefice sono legge –, il percorso è più accidentato e tortuoso, non segue una linea retta ma una curva, fatta di cambi di direzione e talvolta anche di marce indietro. Lo testimoniano le «riforme» annunciate ma nemmeno avviate, come per esempio il tema del diaconato femminile, affidato allo studio di una commissione di esperti e finito su un binario morto. O quelle partite ma non ancora completate, come la ristrutturazione della curia romana, per cui i lavori sono cominciati pochi mesi dopo l’inizio del pontificato ma, dopo aver prodotto alcuni ritocchi – peraltro non particolarmente significativi – sono ancora in corso.

IL PUNTO PIÙ ALTO del riformismo ecclesiale bergogliano, ma nello stesso tempo la frenata più decisa, si è verificata al Sinodo dei vescovi amazzonici: il documento conclusivo dei padri sinodali aveva avanzato l’ipotesi dell’ordinazione sacerdotale di diaconi sposati, mettendo così in discussione la norma del celibato obbligatorio; ma il papa, nell’esortazione postsinodale Querida Amazonia, ha respinto la proposta. Per quale motivo? Peloso spiega la scelta del papa sposando la tesi dello storico Daniele Menozzi, a suo tempo intervistato dal manifesto (13 febbraio 2020): il «cambiamento non sarebbe recepito a livello della Chiesa universale» e «metterebbe in questione l’unità ecclesiale».
Il timore di uno scisma, quindi, visto anche il precedente di qualche anno prima (2014 – 2015), con le durissime reazioni dei conservatori, dopo la decisione di Francesco di approvare la proposta del Sinodo dei vescovi sulla famiglia di consentire ai divorziati risposati l’accesso ai sacramenti, sebbene non in maniera generalizzata ma «caso per caso».

In un certo senso un cambio di strategia che però, secondo Peloso, non ha modificato l’atteggiamento generale di Francesco di «papa anticuriale», che intende contrastare il clericalismo e il romanocentrismo. Non prendendo decisioni – e ingaggiando «una guerra senza quartiere con i suoi oppositori» –, ma «aprendo processi».
Il rischio di impantanamento c’è: «Francesco – scrive Peloso – è stato severo a parole ma probabilmente ha temporeggiato troppo nel dare il via a quei cambiamenti strutturali e di personale che gli avrebbero consentito una navigazione più sicura nella cittadella vaticana», anche perché «la Chiesa non è il luogo dei passi felpati e delle mediazioni».
Si tratterà di vedere se «aprire processi» sarà sufficiente. Il percorso non è concluso.

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