Il senso del folklore per la rivolta
Luigi Lombardi Satriani Il percorso e l’eredità dell’antropologo calabrese scomparso lunedì, tra i promotori del revival di tali ricerche. Raffinato studioso delle culture «altre» ha indagato le tradizioni popolari come luogo del conflitto. Il suo sguardo era volto soprattutto al Meridione, i cui usi e costumi considerava un’arma per osteggiare le correnti conservatrici. E vedeva quella realtà come anticipatrice del Sessantotto
Luigi Lombardi Satriani Il percorso e l’eredità dell’antropologo calabrese scomparso lunedì, tra i promotori del revival di tali ricerche. Raffinato studioso delle culture «altre» ha indagato le tradizioni popolari come luogo del conflitto. Il suo sguardo era volto soprattutto al Meridione, i cui usi e costumi considerava un’arma per osteggiare le correnti conservatrici. E vedeva quella realtà come anticipatrice del Sessantotto
Adel des Geistes. Nobiltà dello spirito, per dirla con Thomas Mann, è l’espressione più alta e giusta per parlare di Luigi Maria Lombardi Satriani, sia come uomo che come intellettuale di assoluto rilievo nel panorama internazionale delle scienze antropologiche. Nato in Calabria, a San Costantino Briatico (Vibo Valentia) il 10 dicembre 1936, ha dedicato tutta la vita all’analisi del folklore e alle culture delle classi subalterne, passione trasmessagli dallo zio Raffaele, importante studioso di tradizioni popolari. Pur avendo vissuto più di cinquant’anni a Roma, dove è morto lunedì, non ha mai spezzato il legame viscerale con la propria terra. È sua, infatti, la ferma convinzione che chi dimentica le proprie radici non è un autentico cittadino del mondo, ma solo un provinciale.
DOPO GLI STUDI universitari nel capoluogo partenopeo ha insegnato scienze antropologiche all’Università di Messina, alla Federico II e al Suor Orsola Benincasa di Napoli, alla Sapienza di Roma, ad Austin, in Texas e a San Paolo del Brasile; alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria è stato anche preside. Nel 2016 ha ricevuto due prestigiosi riconoscimenti: laurea honoris causa in Filologia moderna dall’Università della Calabria, Premio «Giuseppe Cocchiara» dall’Università di Messina. Ha dato alla propria ricerca un’impronta marxista e gramsciana; matrice che non si scontra affatto con le origini aristocratiche, tant’è vero che è stato soprannominato il «barone rosso», Ricerca incentrata sulla religiosità popolare, sulla cultura rurale, sul folklore inteso alla stessa maniera di Antonio Gramsci, ovvero non un «elemento pittoresco», bensì un varco per la conoscenza popolare. Folklore, dunque, quale concezione del mondo e della vita delle classi subalterne contrapposte alle classi egemoni.
Alla metà degli anni Sessanta, Lombardi Satriani ha rafforzato tali convinzioni, fino a interpretare il folklore come cultura di contestazione, e a esprimere questo concetto nel primo saggio del 1966 intitolato, appunto, Il folklore come cultura di contestazione (Peloritana editrice). Concetto ripreso due anni dopo nell’articolo «Analisi marxista e folklore come cultura di contestazione», pubblicato su Critica marxista.
HA SEMPRE VOLTO LO SGUARDO al Meridione, i cui usi e costumi sono stati intesi come armi per osteggiare e confutare le correnti conservatrici. Diventa a tal proposito promotore del Folk revival, un movimento politico e poetico, grazie al quale tutta l’Italia ha potuto conoscere lo smisurato patrimonio culturale del Sud, che non poche volte ha rischiato di scomparire nel nulla.
In merito alle ricerche sul campo, Lombardi Satriani ha sempre creato una forte empatia e un sano rapporto paritetico, pur nella reciproca consapevolezza della differenza dei ruoli, con le persone e gli informatori. Dei quali ha precisato che bisognerebbe «incominciare a chiamare questi elementi relativi al (…) campo di indagine non “dati” ma “presi”».
Una figura ragguardevole con cui è entrato in contatto insieme alla studiosa Maricla Boggio è stata Natuzza Evolo di Paravati (Vibo Valentia), la mistica stigmatizzata italiana più famosa del Novecento, e sulla quale ha scritto, sempre con la studiosa or ora citata, il volume Natuzza Evolo. Il dolore e la parola (Armando editore, 2006).
RELATIVAMENTE AI LIBRI pubblicati, non si può non menzionare Il ponte di San Giacomo, redatto nel 1982 con Mariano Meligrana, perché si aggiudica il Premio Viareggio nello stesso anno, ma soprattutto perché vi viene affrontata la tematica della morte nel mondo contadino italiano. A proposito della quale Lombardi Satriani sostiene che «la società attuale, con la sua ricerca ossessiva delle apparenze, il suo edonismo di massa, si sviluppa tendenzialmente più nel segno della rimozione dell’immagine della morte, organizzando (…) una gigantesca estroversione collettiva».
ANCHE SE LE SUE RICERCHE si sono mosse sulla scia di Ernesto de Martino, Lombardi Satriani non ha mancato di ripensarlo in chiave critica. Più in generale, rivolgendo l’attenzione agli antropologi, ha sottolineato la necessità di non eludere la contemporaneità ovvero non temere di sfidarla, di stare al passo con i fatti quotidiani, seppur a volte molto tragici, come per esempio l’immigrazione e le guerre. È necessario che si rivedano le metodologie. È tempo «oggi più che mai (…) di mutamento, anche per il lavoro di antropologo».
Con Luigi Maria Lombardi Satriani scompare nel panorama culturale italiano e non solo un autentico letterato che ha indubbiamente rivoluzionato l’approccio antropologico. Il suo carisma e il suo modus operandi dovrebbero essere di monito e sprono per tutti.
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