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Il Sei Nazioni riparte sotto l’incubo Covid

Il Sei Nazioni riparte sotto l’incubo CovidUn'azione durante Italia Irlanda del 22 febbraio – foto La Presse

Rugby A Dublino è in programma Irlanda-Italia, calcio d’inizio alle 16:30 in un Aviva Stadium vuoto, senza pubblico e con la presenza dei soli addetti ai lavori, in un paese che pochi giorni fa ha deciso un lockdown durissimo

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 24 ottobre 2020

Otto mesi fa, il 22 febbraio, un sabato, la nazionale italiana di rugby giocava il suo terzo match del Sei Nazioni contro la Scozia. La partita terminò con una sconfitta per 17 a 0. Allo stadio Olimpico c’erano 54 mila spettatori. Tre giorni prima, il 19 febbraio, un uomo di 38 anni era stato riscontrato positivo al Covid 19 all’ospedale di Codogno; il giorno dopo i casi superavano la ventina e nel giro di altre ventiquattro ore l’epidemia stava già dilagando. Nella tribuna stampa dell’Olimpico del virus si parlava con moderazione: era un bel pomeriggio di sole, gli scozzesi in kilt d’ordinanza affollavano allegramente i viali del Foro Italico, nell’aria si sentiva il consueto odore di salsicce abbrustolite sulle piastre dei camion bar e nessuno portava una mascherina né gli era stato chiesto di farlo. Lì, in quel luogo, comandava il rugby, con i suoi riti festaioli.

QUINDICI GIORNI dopo, il 7 marzo, tutto era cambiato. I casi di Covid erano già più di tremila, con oltre cento decessi, e l’Italia era divenuta un caso, prima nazione d’Europa ad essere investita in pieno dall’epidemia. Sebbene il virus avesse già da giorni varcato la Manica e il Mare d’Irlanda, l’osservato speciale era il nostro Paese. Dunque la partita Irlanda-Italia, valida per il quarto turno del torneo, non si disputò, a differenza di Inghilterra-Galles e Scozia-Francia che si giocarono regolarmente. Poi venne giù tutto e l’ultima giornata, in programma il 14 marzo fu rinviata a data da destinarsi. Anche il torneo più antico del mondo aveva dovuto alzare bandiera bianca.

La bolla

Otto mesi dopo quel 22 febbraio, il Sei Nazioni prova a ripartire. A Dublino è in programma Irlanda-Italia, calcio d’inizio alle 16:30 in un Aviva Stadium vuoto, senza pubblico e con la presenza dei soli addetti ai lavori, in un paese che pochi giorni fa ha deciso un lockdown durissimo dopo che i contagi avevano superato i mille casi in un solo giorno. Come il calcio e gli altri sport praticati a livello professionistico, anche il rugby cerca di salvare qualcosa di sé: anzitutto le sue finanze e gli introiti dai diritti televisivi. E si chiude in una bolla. Niente contatti con l’esterno, niente pubblico sugli spalti, niente calore umano. The show must go on, seppur confinato a un piccolo schermo.Non è facile immaginare il rugby privo del suo pubblico. Di più, è impensabile. Il calcio ha una sua tradizione in fatto di match a porte chiuse; il rugby no, non è cosa che gli appartiene. O almeno non gli apparteneva. Venticinque anni dopo l’introduzione del professionismo possiamo forse pronunciare la parola “fine” alla cosiddetta “specificità culturale” del rugby, destinata a sopravvivere in qualche sperduto campo di periferia, certo non nelle stanze delle ricche federazioni dove lo “spirit of the game” ha dovuto battere in ritirata di fronte alle ragioni superiori degli stakeholders: fondi di investimento, sponsor, gestori dei diritti tv. Non è detto tuttavia che sia sufficiente. Giorni fa Philip Browne, amministratore delegato della IRFU, federazione tra le più solide, ha detto che l’epidemia sta costando al rugby irlandese oltre 5 milioni di euro al mese. In Francia e nel Regno Unito cominciano a chiedersi fino a quando potranno resistere. Il Sudafrica, campione del mondo, ha deciso di ritirarsi dall’International Championship dell’emisfero Sud: troppe restrizioni, troppi rischi, troppo complicato per la nazione più colpita dall’epidemia di tutto il continente africano. Per la cronaca, il Championship 2020 si disputerà nelle prossime settimane con tre sole squadre partecipanti (Nuova Zelanda, Australia e Argentina) che giocheranno tutti i match in terra australiana.

Lo spostamento delle date del Championship ha comportato tra l’altro l’azzeramento dei test match di novembre e dei tour delle grandi squadre dell’emisfero australe. Saranno sostituiti dall’Autumn Nations Cup che vedrà coinvolte otto squadre: quelle del Sei Nazioni più Figi e la Georgia (che prende il posto del Giappone che ha dato forfait). Si disputerà dal 13 novembre al 6 dicembre ed è articolato con due gironi all’italiana più un match contro la squadra ugualmente piazzata nell’altro girone (la prima contro la prima, la seconda contro la seconda, eccetera) per definire una classifica finale utile soltanto ai fini del ranking di World Rugby. L’Italia dovrebbe giocare contro Scozia e Figi in casa e contro la Francia in trasferta, mentre l’ultimo match si disputerà Oltremanica. A tutt’oggi non è tuttavia ancora chiaro dove l’Italia giocherà i match casalinghi: nessuno si è fatto avanti per ospitare match di un torneo di cui non importa nulla e che si si disputerà (se si disputerà) a porte chiuse e con una copertura tv relegata su Amazon Prime. Questo lo stato dell’arte di un torneo che qualcuno ha osato definire “innovativo” e che trova la sua unica e perversa ragione di vita nella pandemia. E’ in questo contesto tutt’altro che esaltante che la nazionale italiana guidata da Franco Smith si è chiusa il 6 ottobre scorso nella sua “bolla” romana (l’hotel NH Vittorio Veneto) e vi resterà sino al primo weekend di dicembre per uscirne soltanto per giocare e allenarsi. Stanze singole, area chiusa al pubblico, divieto di incontro con soggetti esterni, rapporti con i media solo via telematica, allenamenti blindatissimi. Abolito anche il terzo tempo: si gioca e si torna in bolla. Nel gruppo di giocatori selezionati da Smith molti giovani e alcuni esordienti assoluti: si guarda al futuro e a un prossimo Sei Nazioni che dovrebbe giocarsi (Covid permettendo) in primavera, ma dal comitato organizzatore si sta valutando un eventuale rinvio. Un intero torneo disputato a porte chiuse è infatti considerato alla stregua di un incubo e tutto sembra appeso a un filo molto sottile.

Oggi in campo

A disputarsi la vittoria finale sono rimaste in tre: Inghilterra, Francia e Irlanda. Saranno decisivi i match che gli irlandesi (oggi) e gli inglesi (sabato prossimo) disputeranno contro l’Italia e con quale scarto di punti potranno vincere le sfide contro gli azzurri, finora sempre sconfitti. Non vi saranno dunque regali: tutte e due le contendenti cercano un successo con ampio punteggio.

Irlanda: Stockdale; Conway, Ringrose, Aki, Keenan; Sexton, Murray; Stander, Connors, Doris; Ryan, Beirne; Porter, Herring, Healy.

Italia: Hayward; Padovani, Morisi, Canna, Bellini; Garbisi, Violi; Polledri, Steyn, Negri; Cannone, Lazzaroni; Zilocchi, Bigi, Fischetti.

Tv: Dmax, 16:30.

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