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Il segno di Francesco Spada

Il segno di Francesco SpadaMONOLITE, parete attrezzata con magic-mirror-tv e grande tronco in castagno, concept design Francesco Spada

Intervista Ricerca, innovazione e design dalla «Terra del rimorso»

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 15 agosto 2020

Artista, designer di fama internazionale ed ispiratore di poliedriche «stagioni» di ricerca, da oltre quarant’anni tra i progettisti più rappresentativi del design italiano, Francesco Spada ha collaborato a «Home Landscape», la prima collezione di design di interni che ha deciso di lanciare la «Level Project» azienda italiana, leader sul mercato internazionale nel segmento d’arredo Contract civile, navale e nautica di alta gamma.

Il percorso di produzione dell’artista ha da sempre privilegiato un approccio etico e antropologico all’interno della Cultura del Progetto, promuovendo nuovi modelli progettuali eco-sostenibili. Nel 1986 fonda a Lecce lo Studio Atlantide e nel 2002 le Ambasciate d’Italia in Argentina e Brasile gli organizzano due grandi esposizioni con i Consolati di Rosario (Argentina) presso il Parque de España e nel Palazzo del Governo del Paranà a Curitiba (Brasile). in questo incontro Francesco Spada ci ha raccontato il concept e la visione della prima collezione firmata «Level Project» con base a Galatina (Lecce), con sedi a Pisa, Londra, Lugano, Miami, New York, Doha in Qatar,

Come nasce la sua collaborazione?
Nello specifico, se parliamo del Salento e di Galatina dobbiamo connetterci in qualche modo con la sua genetica. Fino agli anni Cinquanta connotata come la «Terra del Rimorso» grazie all’antropologo Ernesto De Martino e le sue ricerche sul tarantismo, all’etnomusicologo Diego Carpitella, alle immagini di Franco Pinna che ha documentato per primo quest’area magico religiosa…

Dobbiamo immaginarci un territorio con una grande vocazione manifatturiera. La vicina Gallipoli è stata una delle prime centrali di produzione energetica europea internazionale (con la sua produzione di olio lampante); cioè quell’olio proveniente dalle generose campagne salentine (oggi sofferenti a causa della xilella) che alimentava non solo le lampade italiane, ma anche russe e inglesi. Così come succede nella vita, accadono felici incontri, ed io ho avuto la fortuna di incontrare un imprenditore atipico e speciale come Pasquale Apollonio. Ho iniziato a collaborare per un’azienda straordinaria, che da oltre vent’anni era già parte integrante di un sistema globale di lavoro, e che oggi si completa grazie al suo modernissimo stabilimento con un centro di produzione avanzato e con una cultura del lavoro molto differente da quello che il pensiero dominante immagina qui al sud, grazie anche ad una comunità operativa di oltre cinquecento addetti sparsi in decine di cantieri nelle aree strategiche del mondo.

Nel caso della Level Project l’impulso internazionale non impone uno sradicamento dal territorio. Il concetto di glocale sembra assumere una valenza a tutto tondo nella mission dell’azienda…
C’è una sorta di continuità magica tra la genetica del territorio e la «Level Project». I maestri bottai di Gallipoli hanno tradotto, per anni, strumenti per portare in giro quest’olio lampante e se poi io immagino, così, facendo un salto temporale le decine e decine d’operai della «Level Project», che sono sparsi nei maggiori cantieri navali della nautica italiana compresa la Fincantieri; allora ti rendi conto che c’è un fil rouge che unisce l’operatività di questo territorio… Se un prodotto non ha una valenza globale un prodotto è completamente inutile.

Dalla questa sua collaborazione nasce «Design for the future village», una collezione di oltre 30 pezzi che doveva essere presentata al Salone del Mobile di Milano ora annullato. I prototipi propongono un modello abitativo che sembra venire dal futuro…
La collezione che abbiamo disegnato, da un anno a questa parte, nasce dalla volontà di promuovere un’ ipotesi di applicabilità domestica, ma anche pubblica per il prossimo futuro. Doveva avere un’anteprima ufficiale in uno spazio del fuori salone; oggi tra i distretti più di avanguardia e di ricerca della design week. Il titolo intero della collezione è appunto «Home Landscape». Lavoriamo molto sul mix, sulla contaminazione tra i materiali naturali, compositi, utilizzando tecniche di un’artigianalità portata alla sua massima espressione che si incontra con la tecnologia avanzata di produzione e con macchinari a controllo numerico e microrobotica. Un dialogo integrato che cerchiamo di mettere a sistema per promuovere un nostro nuovo modello abitativo armonioso e rispettoso del rapporto tra l’uomo e l’ambiente e l’uomo macchina.

Culture, colori, artigianato, materie vivide, naturali convergono quasi in dialogo con l’uso della robotica digitale. La sua collezione, ha per caso, anche un’impronta sinestetica?
Se per sinestesia intendiamo la contaminazione come elemento chiave di trasversalità tra le arti, sicuramente si. Sono anni che questa è un po’ la mia cifra stilistica, cioè quella, come in questo caso, di mescolare i paesaggi sociali e vegetali in un unicum abitativo. Ritengo quest’aggettivo molto contemporaneo non solo per quanto attiene la Cultura del Progetto, ma per quanto attiene la socialità. È prioritario, la qualità nasce dall’incontro delle differenze.

Quindi una convergenza di linguaggi…
Assolutamente si. È proprio quello che in qualche modo con Pasquale Apollonio (Owren della Level Project) e con tutto il sistema di progettazione implementato insieme alla nuova Divisione Design, abbiamo stabilito fin dal principio come cifra identitaria dell’intero progetto. Un complesso lavoro di ricerca e sviluppo-prodotto che ha coinvolto l’intero processo ideativo e produttivo in una logica di sperimentazione e, appunto, di mescolanza di materiali, tecniche e cultura.

Emergenza abitativa ed un nuovo modo di intendere lo spazio abitato in che modo possono coesistere secondo lei ? Si potrebbe tracciare una strada sostenibile in questo senso, dal suo punto di vista?
La sostenibilità è un principio di responsabilità generazionale. Ritengo che in questo momento il concetto di emergenza, natura, confine, ciò che era respiro siano entrati in una logica di progettazione nuova; ormai bisogna reimmaginare i modelli abitativi a partire dall’urbanizzazione. È bastato un virus per mettere in discussione tutto, e oggi ricominciamo a parlare di vivibilità.

Inoltre il respiro non è soltanto una parola vuota che mi indica un atto vitale, il respiro è l’aria che è un fattore globale. Se io penso che dipendo dal mio modo di respirare, la prima immagine che mi viene in mente è la foresta dell’ Amazzonia, uno dei più grandi polmoni della terra. E se questo polmone grazie a governi sciagurati e assassini viene bruciato, il pianeta comincia a respirare male e a soffrire. Proprio l’Amazzonia, e alla sua potenza naturale e bellezza, ho dedicato una parte della mia collezione.

Nel video di presentazione della sua nuova collezione gli spazi sonori aperti dell’arte musicale di Kamasi Washington sono sempre presenti… forse avete un modo simile di intendere lo spazio, il paesaggio anche emotivo…
È ovvio che il suono è una componente sinestetica all’intero modo di progettare. La iadromusica guariva i tarantati. La musica sta nelle nostre corde, così come i vecchi bottai di Gallipoli oggi sono le centinaia di operai della «Level Project» che continuano a lavorare sui cantieri navali e sui cantieri di tutto il mondo, per contribuire a realizzare luoghi di nuova ospitalità a Miami così come a New York e per tutta l’Europa.

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