Il segnale di Bruxelles: non si possono modificare gli obiettivi a piacimento
Politica Il governo alle prese con la "rimodulazione" del Piano nazionale di ripresa e resilienza
Politica Il governo alle prese con la "rimodulazione" del Piano nazionale di ripresa e resilienza
La terza rata del Pnrr arriverà a settembre. Con mezzo miliardo in meno rispetto ai 19 previsti ma lo sblocco dopo sei mesi di trattative con Bruxelles basta e avanza perché il ministro Raffaele Fitto brindi a champagne. Il mezzo miliardo mancante, legato all’obiettivo non raggiunto degli studentati, dovrebbe slittare alla prossima rata, che arriva così a 16,5 miliardi. Non si dovrebbe perdere un euro e anche questo giustifica il tripudio di palazzo Chigi e della cabina di regia, condiviso del resto dal commissario Ue Paolo Gentiloni: «Il governo italiano e la Commissione europea hanno lavorato costruttivamente e raggiunto un accordo molto positivo».
I commenti, dall’una e dall’altra parte, più che alla sostanza guardano a una propaganda decisamente rozza. Dall’opposizione un vero plotone d’esecuzione bersaglia il governo per l’obiettivo mancato: «Ci hanno fatto perdere mezzo miliardo. Sono incapaci e inaffidabili», spara la capogruppo del Pd Chiara Braga e un altro centinaio di dichiarazioni sono sullo stesso tono. Dagli spalti della maggioranza mitragliano commenti uguali e opposti: «Dopo aver gufato per mesi sperando in un diniego della commissione l’opposizione colleziona oggi l’ennesima sconfitta», ribatte il presidente dei deputati di Fratelli d’Italia Tommaso Foti e anche in questo caso il coro è uniforme.
Qualche ragione la hanno in realtà entrambi. L’accordo è sostanzialmente un successo per il governo, sia perché finalmente arriverà quasi per intero la sospiratissima terza rata sia perché il mezzo miliardo mancante non è stato cancellato ma solo spostato. Il non aver raggiunto uno degli obiettivi, nonostante dichiarazioni stentoree in senso opposto, conferma però le difficoltà dello stesso governo, destinate a diventare irresolubili se l’Unione europea non accetterà una revisione profonda del Piano entro il prossimo 31 agosto.
Il vero problema, però sta nel segnale che Bruxelles ha voluto inviare a Roma bloccando una parte della rata pur se limitata e dunque in sé poco significativa. È un segnale doppio. Da un lato la Commissione conferma nei fatti quello che aveva detto forte e chiaro Gentiloni una settimana fa, e cioè che la Commissione non avrebbe sborsato un euro senza il raggiungimento degli obiettivi, tutti e ciascuno. Dall’altro, indirettamente, l’Europa fa capire che la ratio del Pnrr deve essere rispettata e che sarebbe un errore credere di poter modificare gli obiettivi a piacimento, come un po’ spera davvero di fare il governo con la «rimodulazione» del Piano.
Il traguardo, per l’Europa, è il Green Deal, la transizione verde e digitale. A quello deve servire essenzialmente il Recovery Fund e nessuna revisione può aggirare questo obbligo. Il monito implicito ha un senso molto preciso, nel momento in cui l’Italia si appresta, con già troppo ritardo, a mettere a punto la sua proposta di «rimodulazione» ma anche quando, in tutta Europa, monta una tendenza, cavalcata proprio dalla destra, a ridimensionare la transizione ecologica.
L’altro nodo irrisolto riguarda proprio la quarta rata, quella che ora dovrebbe inglobare tra gli obiettivi la costruzione degli alloggi per gli studenti. Il governo finge che su quella rata non ci sia più alcun problema. In realtà le 10 proposte di modifica presentate alla Commissione l’11 luglio, alle quali si aggiunge ora questa undicesima, dovranno essere vagliate, discusse e approvate dalla Commissione stessa e poi dal Consiglio europeo. Pur sulla base di una trattativa già svoltasi con Bruxelles è possibile e anzi probabile che le cose vadano comunque per le lunghe e che i 16,5 miliardi non arrivino entro il 2023, costringendo così il governo a rimettere mano al bilancio di quest’anno.
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