Il sarto di Ulm abita a Brooklyn
Scaffale Storia e inciampi di un’ideologia di democrazia radicale e di autoemancipazione operaia: «Manifesto socialista per il XXI secolo» di Bhaskar Sunkara, edito da Laterza
Scaffale Storia e inciampi di un’ideologia di democrazia radicale e di autoemancipazione operaia: «Manifesto socialista per il XXI secolo» di Bhaskar Sunkara, edito da Laterza
All’inizio sembra un romanzo utopistico, ambientato nel New Jersey nel 2036: seguendo le vicende di un giovane operaio, l’autore ci racconta alcune brutture della società capitalistica e come sarà la futura società socialista, fondata sulla cooperazione invece che sulla competizione, sull’autogestione, sull’abolizione del denaro, sul sostegno dello Stato, sullo sviluppo della tecnica, su un egualitarismo non assoluto, ma con un ventaglio retributivo ridotto.
IL RACCONTO MOSTRA il socialismo del futuro basato sulla democrazia politica, le decisioni prese dal basso, il richiamo al lato razionale ed etico delle persone, l’effettivo miglioramento che il socialismo determinerà nella vita quotidiana, nella liberazione del lavoro e dal lavoro. Un mondo fondato su una sorta di «comunismo democratico», visto che l’autore è anche per l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e del lavoro salariato.
Non si tratta però di un romanzo, ma del prologo al saggio di Bhaskar Sunkara Manifesto socialista per il XXI secolo (Laterza, pp. 290, euro 18). L’autore, figlio di immigrati indiani, vive a Brooklyn e ha acquistato fama internazionale grazie al successo del periodico Jacobin (da un anno esce anche Jacobin Italia), ideato e fondato nel 2011, quando era giovanissimo studente universitario. Il prologo non indica la predilezione dell’autore per il socialismo utopistico, vuole piuttosto evidenziare l’importanza di saper comunicare fuoriuscendo dalla tradizione accademica per rivolgersi a un pubblico giovanile e di recente politicizzazione. In secondo luogo, esso serve per veicolare un messaggio importante: un altro mondo è possibile, cioè può esistere una alternativa al capitalismo, e vi vivremmo meglio.
Il libro prosegue su un altro binario: una «storia del socialismo da Marx ai giorni nostri», che ha anch’essa un tono divulgativo, tipicamente anglosassone, anche se con un apparato di note consistente. Dopo le principali idee-forza di Marx, Sunkara si sofferma sugli eventi e i protagonisti del socialismo marxista, da Lassalle, Bernstein e Kautsky fino a Rosa Luxemburg.
PASSA QUINDI a parlare dei socialisti russi, della Rivoluzione d’Ottobre, dei primi governi bolscevichi, dello stalinismo. I suoi giudizi non sono manichei, anche se a volte opinabili. Tutto sommato positiva è la valutazione dell’operato di Lenin, per la comprensione delle difficoltà oggettive in cui operò. Molto più negativo il giudizio su Stalin, ma anche su Trockij, descritto come non molto diverso (almeno dal punto di vista etico-politico) dal suo storico rivale. L’autore riconosce i grandi progressi fatti dall’Unione Sovietica nei primi decenni di vita, ma ritiene «imperdonabile» che «un modello costruito con errori ed eccessi, forgiato nelle peggiori condizioni, diventi sinonimo dell’idea socialista».
Anche il maoismo non convince Sunkara. La ricostruzione del comunismo cinese dagli anni Venti ne mostra luci e ombre: accanto al grande successo in termini di progressi materiali, i non pochi errori, e soprattutto il prevalere di un governo non democratico della società e dello Stato. Per cui, alla fine della lunga disamina, Sunkara sconsolato conclude: «Il socialismo è nato come un’ideologia di democrazia radicale, di autoemancipazione operaia, non quindi come uno strumento di sviluppo governato dallo Stato». Poiché uno «sviluppo dall’alto» può essere un fatto storicamente progressivo, ma rimane pur sempre una «formula autoritaria».
ANCHE SUL SOCIALISMO riformista Sunkara non si fa illusioni. Dopo poche pagine sul primo laburismo e sul governo Blum, si sofferma a lungo sul «caso svedese». Pur lodandone i successi, il libro sottolinea come alla fine, in una fase recessiva, le contraddizioni del capitalismo riprendano il sopravvento e le conquiste dei lavoratori vengano riassorbite. Anche le strade più tradizionali (nazionalizzazioni, sostegno pubblico all’occupazione) non portano a nulla: Mitterrand fu costretto dalla fuga dei capitali a un veloce dietrofront rispetto alle bellicose intenzioni degli esordi. La «ritirata socialdemocratica» venne poi codificata da leader come Blair o Clinton.
Sunkara ne ricava una lezione: l’azione della socialdemocrazia trova sempre dei limiti strutturali, per cui l’unica soluzione sembra all’autore essere quella della fuoriuscita dal capitalismo. Occorre evitare il rischio di diventare «soci di minoranza del capitale». Anche se non tutti i socialdemocratici sono uguali (vi è una socialdemocrazia che riattiva la conflittualità, come nei casi di Sanders e Corbyn, invece che soffocarla con la concertazione), le sue conquiste sono destinate a essere riassorbite dallo stesso andamento del ciclo capitalistico e dalle sue crisi periodiche.
UN LUNGO CAPITOLO è dedicato alla storia del socialismo made in Usa. «Perché non c’è socialismo negli Stati Uniti?», si chiedeva Sombart nel 1906. Sunkara risponde ripercorrendo la ricca storia del movimento socialista statunitense, sindacale e politico, fin dai primi decenni dell’800. Scioperi e lotte politiche, i Knights of Labor e l’IWW, Daniel De Leon e Eugene Debs (che, candidato alla presidenza per il Socialist Party, ottenne quasi un milione di voti).
Un movimento «multilingue, geograficamente disperso e ideologicamente diviso», duramente represso, che non seppe mai darsi una vera organizzazione centralizzata. E i comunisti, attivi dal 1919, non seppero fare di meglio, troppo subalterni alle direttive di Mosca e acritici verso l’Urss. Né più tardi la New Left saprà dare vita a esperienze politiche durature e incisive.
Dopo decenni di sconfitte e lustri di oblio della stessa parola «socialista», tuttavia, secondo Sunkara l’aria è cambiata: «La domanda, oggi, è se possiamo rendere mainstream la sinistra», per «costruire un progetto politico indipendente per la classe lavoratrice, che possa essere qualcosa di più di una leale opposizione al liberalismo». Per far questo, afferma Sunkara, bisogna passare dalla socialdemocrazia al «socialismo democratico», trasformando realmente la società tramite «riforme non-riformiste».
Per giungere a ciò, passo dopo passo, non bisogna cadere nella «irrilevanza settaria», ma lavorare nei sindacati, tra le masse, mettere a frutto i successi di Sanders e del piccolo ma in forte crescita gruppo dei Democratic Socialist of America, chiedere una legge elettorale proporzionale. E arrivare a un nuovo visibile e credibile partito socialista. Se non mancano accenni all’importanza delle lotte antirazziste, antisessiste e contro il degrado ambientale, per l’autore al centro resta la politica fondata sulla lotta di classe.
Sembra mancare, in questo discorso, fortemente ottimista (forse troppo) e volontarista, una considerazione del movimento italiano, a partire da Gramsci. Ma proprio le ultimissime pagine riservano una sorpresa: il finale è affidato alle parole di Lucio Magri e di Pietro Ingrao, alla evocazione da essi fatta del celebre Sarto di Ulm di Brecht. Che ci dice, e con lui Sunkara, che di nuovo e sempre, nonostante tutto, bisogna ancora tentare di volare. A partire da Brooklyn.
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