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Il sapore acre della fiducia

Il sapore acre della fiduciaL'abbraccio tra Letta e Bersani – Luigi Mistrulli

Governo Matteo Renzi ottiene lo scontato via libera dell’aula di Montecitorio. Ma il suo partito si scalda per il ritorno di Bersani e l’abbraccio tra l’ex segretario e Enrico Letta. Che nemmeno saluta il nuovo premier

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 26 febbraio 2014

È un inizio che sembra una fine, quello che va in scena nell’aula di Montecitorio nella lunga giornata della fiducia al governo. Ha il sapore di una festa venuta male dove precipita un evento atteso e sempre rimandato che quando arriva coglie di sorpresa e lascia un misto di commozione e disagio. Il lungo dibattito comincia alle 10 di mattina e prosegue un po’ stancamente, con qualche momento vivace ma scontato nei battibecchi tra 5 stelle e soprattutto Pd, ma anche con la presidente Laura Boldrini, tanto per cambiare. E le note di colore regalate da Matteo Renzi, che messaggia a raffica come un ragazzino ma si sposta pure su tablet e pc – e viene richiamato dalla presidente, «è richiesta la sua attenzione», quando invece di ascoltare il leghista Massimiliano Fedriga lui sta chiacchierando con Roberto Giachetti e poi deve comprensibilmente andare in bagno e viene sospesa per qualche minuto la seduta.

Il presidente del consiglio nel corso delle 6 ore e mezza di dibattito, come lui stesso sottolinea, prende appunti, è pieno di carte, documenti, scambia bigliettini forse senza conoscere, vista la sua ostentata estraneità ai palazzi romani, i precedenti di messaggi anche un po’ imbarazzanti immortalati dagli zoom dei fotografi. Si prepara alla replica sapendo che la fiducia è scontata qualunque cosa lui dica e infatti dice molto poco, non aggiunge niente ai punti di programma un po’ evanescenti proposti il giorno prima in senato (salvo chiarire che i taglio a due cifre del cuneo fiscale significa di 10 miliardi, non del 10%), seminandoli nel discorso a casaccio. Cerca solo di essere più composto e rispettoso dell’aula e degli «onorevoli» esaltandone il ruolo, a dispetto dell’antipolitica, senza le mani in tasca che gli hanno rimproverato in tanti, meno scanzonato, ma non per questo più efficace. Anzi, almeno a palazzo Madama aveva in qualche modo portato scandalo. Cita don Milani e Chesterton invece di Gigliola Cinquetti, bacchetta ancora i 5 Stelle ricordano che sulla Mafia c’è poco da fare battute fuori luogo ricordando la strage di Capaci e qui arriva, breve e discreto, un applauso non scontato. Quello di Enrico Letta.

Perché l’entusiasmo e l’eccitazione che ci si sarebbe aspettati da un partito che vede un suo esponente – in questo caso il suo segretario – diventare presidente del consiglio, scarseggia a dir poco. E viene sostituito dal tributo agli ex. L’ex presidente del consiglio, che si è visto scaricare dal suo partito e sfilare palazzo Chigi con una rapidità che lo ha annichilito. E l’ex segretario, Pier Luigi Bersani. Che arriva nel pomeriggio – Bersani lo sapeva, Renzi no – prima della replica, sorprendendo in Transatlantico cronisti e deputati ai quali spiega che «sono venuto a votare la fiducia e abbracciare Letta, ma ancora non è qui» e viene subito circondato, salutato calorosamente, accompagnato verso l’aula che al suo ingresso esplode in un applauso, tutti in piedi. Poi Letta arriva, si infila in aula attraversando il corridoio laterale, non ha voglia di rispondere ai giornalisti, passa rigido davanti ai banchi del governo ed è spesso il gelo tra lui e Renzi, nemmeno un saluto, un cenno, solo a Graziano Delrio l’ex premier allunga velocemente la mano poi va verso i banchi del Pd e incrocia Angelino Alfano, andato lì per salutare Bersani, che gli dà una pacca sulla spalle. Sale verso il suo segretario di quando era vice e i due si abbracciano. L’aula si scalda, l’applauso si leva dai banchi del Pd e si fa sempre più rumoroso, Bersani e Letta che si erano dati appuntamento si alzano, anche Renzi che sulle prime imbarazzato aveva cercato scampo su un dispaly comincia a battere le mani, si alza anche lui, fa alzare i ministri che ha accanto mentre il presidente del consiglio disarcionato dagli stessi che si stanno spellando le mani scende qualche gradino e continua a prendere applausi. Non si siede tra i banchi del Pd, del Pd non ha messo il nome neanche nel suo nuovo profilo su twitter dov’è scritto solo @EnricoLetta, «deputato della repubblica», va a sedersi ai banchi destinato agli esponenti del comitato dei 9 quando si dicute un provvedimento, come a sottolineare che questo non è più il «suo» Pd, non si sa capisce più nemmeno che Pd è, quello che non si scalda per il segretario Renzi (pochi applausi senza trasporto) e prova a rimarginare la ferita inferta.

E’ un Pd frastornato, diviso ma che, anche nella parte meno convinta, segue l’onda. E’ un Pd dove «siamo siamo abituati a confrontarci in modo non formale e quando dobbiamo confrontarci e discutere, litigare, lo facciamo avendo il coraggio di riconoscere che chi vince ha la maggioranza e chi resta sta nello stesso partito», dice Renzi nel suo intervento provando a riprendere un po’ di protagonismo parlando del suo partito invece che del suo governo, e «quando ho perso alle primarie con Pierluigi Bersani lui non mi ha espulso e il fatto che Bersani sia qui avendo idee diverse dalle mie su molte cose è un segno di stile e rispetto non personale ma politico. Siamo il Pd», con Alfano che ascolta appoggiato a un banco della parte destra dell’emiciclo. Quando il premier ha concluso l’intervento, Bersani esce, scambia ancora saluti, fa qualche commento, dice che da oggi «gli italiani valuteranno lo spread tra le parole e i fatti», e che certo, non è «l’umiltà» a caratterizzare il governo Renzi, ma «Matteo ha bisogno d’aiuto e, quando saranno chiari alcuni obiettivi – aggiunge sarcastico – io starò qui a fare il mio dovere per aiutarlo». Perché appunto, gli obiettivi non sono chiarissimi. se ne va senza dire niente Letta, insieme a Maurizio Lupi. Un tweet: «Dal 5 gennaio speravo di vivere questo momento. Bentornato Pierluigi!».

Anche Renzi ringrazia l’ex segretario con un tweet. Questa lunga giornata della fiducia, con 378 sì e 220 no e un astenuto, probabilmente non se l’era aspettata così. Adesso, aveva twittato in mattinata annunciando per oggi una sua visita a Treviso, «si inizia a lavorare sul serio».

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