Il sangue e la luna
Yemen Intervista a Tommaso Cotronei autore di "Blood and the Moon" che ci trasporta in un povero villaggio dello Yemen, appena presentato al festival di Erevan in Armenia
Yemen Intervista a Tommaso Cotronei autore di "Blood and the Moon" che ci trasporta in un povero villaggio dello Yemen, appena presentato al festival di Erevan in Armenia
I film di Tommaso Cotronei sono un incanto pericoloso dai quali è difficile uscire, ti portano nelle zone più povere e conflittuali, ma non come innocui documentari, ma come brani di poesia brucianti: così era nei suoi primi lavori sulla Calabria, e poi la Nigeria, il Paraguay, la Mauritania, la Somalia dove per tre volte è entrato e per tre volte è dovuto ripartire il giorno dopo con la scorta («a spese mie, 500 euro, io che un film lo faccio con mille euro»), fino allo Yemen del suo ultimo film, quasi come se avesse già percepito il rombo della guerra. Eppure, dice, la guerra è scoppiata due settimane dopo che era già tornato in Italia. Blood and the Moon è il titolo, e del poema di Yeats che neanche ha mai letto («mi piaceva il titolo, l’ho messo d’istinto perché alla fine c’è la luna, il sangue e la speranza») ha percepito come per un’affinità stregata che là dove si innalzavano le torri volteggiava la storia ridotta in polvere. Pasolini ne aveva fatto un caso per l’Unesco, riprendendo le mura di Sana’a. «Ho poi visto il documentario di Pasolini, ma non lo conoscevo, lo sai io sono un autodidatta». Il giovane maestro di un villaggio che ci riporta al medioevo cerca di insegnare ai bambini l’importanza della cultura, mentre tutto intorno si sente la presenza di oscure minacce, compaiono scritte sui muri firmate Al Qaeda, una ragazza di Sana’a abbandona il marito che ha dovuto sposare a tredici anni e si rifugia nel villaggio raccogliendo attorno a sé le bambine per insegnare loro a leggere e a scrivere.
Blood and the Moon è appena stato al festival di Erevan in Armenia, dove Cotronei è stato invitato per la seconda volta, poi selezionato in Egitto, a Spalato e a dicembre in Bangladesh a Dakka: lo dice con una certa amarezza perché in Europa è meno considerato (ma è stato lo scorso anno a Pesaro). «Sono emozionato di essere scelto dai paesi sofferenti dove sanno cosa significa sofferenza e pena, mentre nei paesi occidentali e capitalistici non mi filano. C’è da chiedersi dov’è la libertà se appena tocchi il petrolio, le multinazionali ti bloccano». Raccontare ad esempio la Nigeria (Covered With The Blood of Jesus) e le responsabilità delle multinazionali entra infatti in conflitto con il fatto che poi nei confronti dei festival sono prodighe di sponsorizzazioni e pubblicità.
Ma come sei arrivato nello Yemen?
Mi incuriosiva, mi sentivo quasi in dovere di andarci. Smanettando su internet ho letto la sua storia che non conoscevo, ho preso contatto con un ragazzo che mi ha detto: vieni, ti faccio da guida. Dopo una settimana abbiamo fatto una gita in un villaggio a 3700 metri, già Sana’a è a 2200, ho visto quella torre.
In pratica torni sempre ai tuoi luoghi di origine, potrebbe essere la Calabria: i vecchi che non parlano e ti guardano, i ragazzi che sognano l’istruzione, le presenze minacciose, i camion giù nella valle…
La Calabria è peggio. Quel ragazzo aveva degli amici, tutti ci guardavano straniti perché è un luogo pericoloso. Non c’è Al Qaeda, però ci sono i fiancheggiatori. Infatti una mattina ci siamo alzati e abbiamo visto quelle scritte che nel film stupiscono i bambini. Mi dava coraggio quel giovane e la mia incoscienza. Diceva: qua non ti tocca nessuno, sono tutti amici miei
Come direbbero in Calabria…
Mi dà coraggio a continuare il fatto che sentono che non sono lì per fare l’antropologo di turno, vedono la mia pena e non lo dico per vanto, vedono che patisco con loro. Poi siamo andati giù con un taxi in un paese a dieci chilometri, abbiamo fatto una grande spesa: cioccolata torte, dolci, abbiamo fatto una bella festa con i bambini. È stata una gioia immensa con questi bambini che non avevano mai mangiato il cioccolato. Le mamme guardavano un po’ esterefatte un po’ contente, anche per loro era una festa. Nel film facevamo la scuola e loro non capivano se era per il film o era sul serio e neanche noi, perché veramente la scuola era chiusa e il maestro ci dormiva dentro, come si vede nel film. E non è che capissi tutti i dialoghi, non ti dico la mia gioia quando sono riuscito a trovare un interprete yemenita a Roma che è stata un’impresa e ho visto che dicevano cose che avevo intuito, proprio quello che volevo che dicessero. Il documentario mi sta stretto, provo a fare cinema nel mio piccolo.
Quando sei partito sapevi che c’era la guerra?
È successo due mesi dopo che sono tornato, un po’ sono contento un po’ mi dispiace, perché sarebbe stato più interessante, avrei fatto un po’ finzione un po’ no, avrei trascinato il protagonista. Allora c’erano semplicemente delle manifestazioni per il gas e le ho riprese. È la solita storia: i capoccioni degli stati (Yemen come Somalia ecc) che si mettono d’accordo con l’occidente, prendono le tangenti e svendono a poco prezzo i beni dello stato all’amico francese, taiwanese….
Cosa mi dici della povertà dello Yemen?
Vivono come trecento anni fa da noi, anche se ci sono le macchine i cellulari. Non so forse avrei avuto problemi a restare di più, perché sono rimasto solo due settimane, magari chiamavano al Qaeda, mi venivano a prendere, Comunque l’ultima notte sono arrivati due tipi, hanno capito che andavamo via, hanno dato un’occhiata e se ne sono andati. Poi è arrivata una telefonata al mio amico, hanno detto che dovevamo dare dei soldi. In seguito mi hanno detto che era uno scherzo, ma abbiamo dato dei soldi al vicino, ci ha dato due mitragliatori che tenevamo fuori dal finestrino come segnale e siamo scesi a Sana’a scortati da due contadini. In ogni caso è la solita storia, l’occidente che sfrutta. Il giovane lo dice, quando parla alla ragazza: tutti vengono qui a prendere i nostri beni, il petrolio, l’uranio quando invece avremmo bisogno di cultura, di intellettuali onesti.
Queste cose che ripeti nei tuoi film gliele hai suggerite tu?
Lui studia filosofia, la pensavamo allo stesso modo, gli dicevo di dire quello che pensava, come quando afferma che un ragazzo istruito non diventerà mai povero e non diventerà mai un terrorista. E che ci vogliono tutti poveri, per manipolarci.
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