Il saluto della triglia
Cartelli di strada Occhio languido e no, alcune considerazioni
Cartelli di strada Occhio languido e no, alcune considerazioni
L’espressione «fare l’occhio di triglia», nel linguaggio figurato, rinvia allo sguardo languido e passionale dell’innamorato. Che cosa avrebbe di particolare l’occhio della triglia sì da far innamorare? Interrogativo ricorrente, anche per chi ha avuto dimestichezza con le triglie. Triglie vive, s’intende, i cui sguardi si sono incrociati con i nostri, talvolta, nell’ambiente sottomarino. Talvolta. Perché quasi sempre, a pensarci, le coglievamo alle spalle. Nel mare di agosto, sotto costa, puntuali giungono le agostinelle (triglie da frittura). Che sorprendevamo mentre sondavano con i barbigli forcuti (i «baffi» sotto la mandibola), protesi in avanti, i fondali fra sabbia e roccia in cerca di piccoli crostacei, molluschi, perfino vermi. Delle specie ittiche cui si dava la caccia, la triglia veniva messa al primo posto: pura questione di palato, nient’altro. L’attività subacquea col fucile munito di fiocina, che dal sub viene definita sportiva mentre dalla parte dei pesci risulta a ragion del vero antisportiva, era finalizzata al consumo diretto di ciò che si riusciva a catturare. Con la triglia andavamo a nozze proprio per quel retrosapore fosforoso il cui minerale è presente nelle sue carni. Passava in second’ordine il fatto che posseggono fastidiose spine sottilissime che restano conficcate per giorni fra i molari. Imbattendoci sott’acqua con essa e al contempo col sarago, poniamo, non si avevano dubbi: il pesce che avremmo inseguito sarebbe stato il nuotatore veloce che flette i barbigli all’indietro, la triglia appunto, specialmente quella di scoglio e di adeguata pezzatura. Ci avevano imposto a mangiarla fin dalla fanciullezza, controvoglia come qualsiasi ragazzino normalmente refrattario al pesce, per il suo alto contenuto di fosforo.
Che, dicevano, fa aumentare il tasso intellettivo ed è determinante all’accrescimento della memoria, fondamentale nell’età scolastica. E a forza di mangiarla (preparata al cartoccio, o alla livornese che più esalta il senso del gusto) abbiamo finito per pescarcela, da amanti del mare, attraverso l’unico sport da sempre praticato: l’attività subacquea. A quel punto siamo stati noi a farla mangiare a chi, portando il pescato a casa, ce l’aveva imposta da piccoli. Ma perché, sentiamo dire, la triglia «fa l’occhio di triglia»? Guardare con occhio languido non vuol dire, esclusivamente, che si è innamorati. È difficile pensare, nel caso della triglia, che questa possa provare amore verso chiunque si trovi a guardarla. Ci è capitato di osservare, piuttosto, che la triglia rivolge uno sguardo languido, svenevole, smorto insomma, tanto da mutare di colore la sua vivida livrea rossastra, quando è prossima a morire. È anche uno sguardo d’amore il suo, certo: uno sguardo di saluto alla vita mentre l’ultimo soffio di vita la sta abbandonando.
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