Cultura

Il salmone verso la sorgente critica

Il salmone verso la sorgente criticaUna foto di Tommaso Labranca

Tommaso Labranca La scomparsa dello scrittore e performer italiano. Scrisse una analisi formidabile sul trash che smontava la divisione tra cultura alta e cultura bassa

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 30 agosto 2016

«Sono talmente intollerante che non mi tollera più nessuno», diceva di sé Tommaso Labranca in una buffa intervista di qualche anno fa uscita su Repubblica XL. Lo scrittore, agitatore culturale, teorico del trash in gioventù è morto l’altra notte a 54 anni per un attacco di cuore nella sua casa di Pantigliate periferia di Milano. Era gentilissimo di persona, coltissimo. Sapeva tutto e di tutto, senza risparmio: da Adelphi all’Esselunga ai Pokemon ai Kraftwerk. Era affilato nello sguardo e nei giudizi come uno snob d’altri tempi, con un occhio ad Arbasino certamente, ma anche al Dino Risi de Il vedovo – film ultracamp che adorava per la Franca Valeri e per Alberto Sordi, al punto di averci scritto sopra un recente e dottissimo saggio. Al Sordi cialtrone di Un americano a Roma aveva rubato uno pseudonimo da social network, Santi Bailor, prima di scomparire non troppo tempo fa da tutti i social network.

Il caratteraccio veniva fuori se lo frequentavi appena un poco: grandi passioni e grandissimi litigi specie con gli amici e le amiche, abbandonati per un nonnulla. E occasioni buttate, nomea di rompicoglioni, sempre meno inviti alla radio e in tv. Da ultimo compariva qualche suo pezzo su Libero, probabilmente per completare l’opera del farsi odiare da tutti. L’ultimo sull’apertura di un Salone del Libro a Milano: meglio così – scriveva – che il pomposo «trash» del Lingotto torinese, dove tutt’al più incontri Ligabue a firmare le copie del suo ultimo libro. Lui nel frattempo aveva firmato biografie di musicisti come Micheal Jackson e Renato Zero. E una dei Coldplay, chissà perché. Aveva anche aperto un canale di collaborazione con la Svizzera: lavorava a progetti di piccole riviste, come quando aveva iniziato trent’anni fa, con delle autoproduzioni editoriali. Comparirà un suo articolo sulla fine delle estate, l’ultimo, sulle pagine di Linus di settembre.

Tommaso era intellettualmente spietato col mondo che lo circondava, in guerra perenne con: Milano, i suoi aperitivi, le case editrici, gli usi e i costumi dei lavoratori creativi, il baraccone delle tv Fininvest, i mobilieri brianzoli, i giornali, gli intellettuali, la Cultura. Tutto un mondo che, florido negli anni ’90, oggi va sparendo. Per fortuna, per forza di cose. Va così. (non ci resta il revival, prego accomodarsi). All’inizio del decennio aveva mandato in giro una versione auto pubblicata di un saggio sul trash: Giovani Salmoni del Trash, che diventò poco dopo il suo primo libro uscito da Castelvecchi: Andy Warhol era un coatto. Vi si spiegavano alcuni principi di estetica contemporanea: il trash, diceva Labranca, è un imitazione malriuscita di un modello alto. E fin qui bene. Wanna Marchi, Emilio Fede, Cristina D’Aveva. Ok. Il problema, continuava Labranca, è che nessuno ha piacere di riconoscersi come trash, specie se si considera appartenente alla cultura alta: Susanna Tamaro, Umberto Eco, Franco Battiato (cito alcuni dei suoi bersagli polemico-goliardici di allora). E allora avvelena i pozzi. Il «Giovane Salmone», concludeva, è colui che capace di risalire la corrente della cultura di massa (alta e bassa) fino a riconoscerne la sorgente.

Questo corpo a corpo con gli oggetti culturali (dalla Nutella a Kundera) per Tommaso non era una roba accademica. Tutt’altro. Era una cosa che coinvolgeva se stesso prima di tutto, poi amici e conoscenti in un piccolo carnevale continuo di feste ed eventi casalinghi, quasi sempre privatissimi ma divertentissimi. In quegli anni si accompagnava ai Cannibali, il gruppo di scrittori – Ammaniti, Scarpa, Nove ecc. – che trovavano nelle sue argomentazioni contro la prosopopea culturale nazionale, e anche nella sua capacità di saltare dalla letteratura alle canzonette ai cartoni animati, benzina per i loro racconti e idee. Ma Tommaso era sempre così, anche nelle conversazioni: se ti tuffavi nel «basso» lui rispondeva con argomentazioni «alte», e viceversa. La vicenda del trash, anzi lo avevano annoiato presto da quando continuavano a chiamarlo come «esperto» di un mondo che in fondo amava sinceramente. Inutile aggiungere che se c’era una parte da cui stava, era quella degli abitanti del suburbia in cui viveva, Pantigliate. Come fosse un piccolo gaddiano esperimento su stesso nel dopobomba della cultura di massa che più di massa non si può. Era un performer nato – del pubblico se ne fregava abbastanza. È stato uno dei critici culturali più lucidi di questi anni. Il suo lavoro sul trash, per noi, vale quello di Susan Sontag sul camp trent’anni prima, forse anche di più. Il critico è un tipo che dev’essere capace di mettersi in discussione ogni giorno, altrimenti è una noia mortale, è un pallone gonfiato. Lui era Santi Bailor, e tanto basta.

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