Cultura

Il sacrificio necessario per vivere il cambiamento

Il sacrificio necessario per vivere il cambiamento

Scaffale Torna in libreria per le edizioni TerraRossa "La parte del fuoco", primo, e finora unico, vero romanzo di Marco Rovelli, uscito una prima volta nel 2012. L’incontro tra due emarginazioni, quella di Karim e quella di Elsa, che racconta ferite sociali e pulsioni dell’anima

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 29 settembre 2020

Ci sono libri che seguono percorsi inconsueti, strani destini, fino a garantirsi una seconda possibilità di esistenza. È il caso di La parte del fuoco, primo, e finora unico, vero romanzo di Marco Rovelli che uscito una prima volta nel 2012, scomparve subito dopo dagli scaffali delle librerie a causa della improvvisa chiusura della casa editrice. E oggi, finalmente, rinasce a nuova vita grazie alle edizioni TerraRossa (pp. 164, euro 15) che lo ripubblicano dopo una revisione che ha modificato alcune cose e soprattutto il finale originario.

LA STORIA DI KARIM ED ELSA, allora, può ancora una volta dare al lettore la possibilità di interrogarsi sul presente, sulla società – italiana, ma non solo – e sulle pulsioni più profonde dell’anima. Lui, clandestino tunisino, ex danzatore per turisti e poi impiegato in un ufficio nel suo paese, arrivato in Italia grazie ai morti, perché, letteralmente «i morti vi hanno aperto la strada». Lei giovane, molto giovane, e bella, appartenente a una famiglia più che benestante, ma diversa, completamente diversa dai suoi familiari e insofferente nei confronti del suo ambiente sociale, autodistruttiva, entra ed esce dalle cliniche.

Non una banale storia d’amore, qualcosa di differente, di molto profondo, un incontro tra due marginalità. Ma un incontro vero, che mette a nudo lacerti d’anima e ferite profonde sui corpi. Che fa emergere la profonda dignità di due vite da emarginati, ma che proprio a partire dalla loro emarginazione, dai margini dei propri corpi riescono a creare un contatto, un legame, davvero umano, troppo umano.

La vicenda si dipana praticamente lungo tutta la penisola: dal Sud al Centro e al Nord. E si affastellano una serie di personaggi, in maggioranza emarginati anche loro, ma tutti descritti in maniera vivida e senza alcuna concessione al patetismo. Tra tutti spicca Nevia, la donna con cui Karim condivide una sorta di storia d’amore, ma indimenticabili risultano essere anche le varie figure di vecchie signore, non soltanto immigrate, che attraversano in diversi momenti la strada dei due protagonisti. Così come vien fuori in maniera netta e reale l’ambiente sociale in cui si trovano a vivere e a lavorare i vari compagni immigrati di Karim. E si toccano con mano le ingiustizie, le violenze a cui si può essere sottoposti quando non si hanno diritti né la possibilità di conquistarseli. Ma allo stesso modo emergono con forza tutta la solidarietà, lo stringersi assieme, la dignità che si esprime nelle vite e nei corpi di tanti emarginati.

Il linguaggio usato è assolutamente letterario, senza per questo risultare pedante o complicato. Anzi la scrittura di Rovelli sembra contenere al suo interno qualcosa di tagliente, affilato, senza, però, risultare standardizzata, televisiva. Si potrebbe forse definire colta, intrigante ed avvincente. Ci sono vari momenti, infatti, in cui sembra quasi di star leggendo un noir, con l’occhio che non vuole separarsi dalla pagina scritta per vedere subito cosa sta per succedere.

Anche la struttura, il punto di vista della narrazione è estremamente elegante e tecnicamente difficile, ma assolutamente godibile e funzionale con quei passaggi dalla seconda alla prima persona a seconda di quale sia il protagonista in quel momento, Karim o Elsa. Una storia di marginalità. Ma come afferma lo stesso Marco Rovelli nella bella prefazione: «È dal margine che si comprende la forma delle cose».

UNA STORIA di cambiamento. Del resto la parte del fuoco a cui si riferisce il titolo è quella parte di se stessi che occorre sacrificare nel dolore, nel sangue, per poter continuare a esistere. La storia di un incontro perché come afferma Roberto Calasso nel suo L’ardore, il sacrificio fu affidato, invece che agli arroganti Asura, ai Deva «perché, prima ancora di sapere con precisione a chi dovevano offrire, avevano accettato che l’offerta fosse qualcosa di esterno, che passava da un essere a un altro, rompendo la membrana dell’autosufficienza».

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