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Il ruolo del Capo dello Stato nel tempo della crisi

Il ruolo del Capo dello Stato nel tempo della crisi – LaPresse

Quirinale Rinvia le leggi alle Camere; emana decreti con valore di legge; può e deve bloccare quei decreti legge macroscopicamente in contrasto con la Costituzione

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 16 gennaio 2022

È cominciato il conto alla rovescia. In questo contesto storico l’elezione del Presidente della Repubblica appare decisiva per la qualità della nostra democrazia. Nel passato non se ne è mai discusso in un franco dibattito pubblico, ma sempre in conciliaboli riservati fino all’assurdo che l’assemblea dei grandi elettori del Partito democratico nel 2013 deliberò all’unanimità di votare per Romano Prodi e poi, nel segreto dell’urna, 101 parlamentari votarono contro. Anche in questa occasione le posizioni degli attori politici restano coperte, salvo la patetica autocandidatura di Berlusconi. Tuttavia, prima di appassionarsi al totonomi, bisogna capire qual è il profilo del Capo dello Stato.

Così come è configurato dalla Costituzione e quale ruolo può svolgere in questo contesto storico. In primo luogo il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale (art. 87 Cost.). Si badi bene, il Presidente della Repubblica non rappresenta il popolo. Il popolo non può essere rappresentato da un uomo solo. Nel popolo sono presenti diversi orientamenti politico-culturali, interessi differenziati e contrastanti fra i diversi gruppi sociali, per questo la rappresentanza la esercitano solo le Assemblee elettive (Camera e Senato) nelle quali confluisce il pluralismo del corpo elettorale.

Come rappresentante dell’unità nazionale il Presidente non è titolare di un potere di indirizzo politico, la missione che la Costituzione gli affida è quella di supremo garante della Costituzione nei confronti dell’esercizio del potere legislativo e di governo. In particolare il Capo dello Stato ha poteri di impulso e di interdizione volti ad assicurare che l’operato del Parlamento e del Governo, pur nell’insindacabilità delle scelte politiche, non esca fuori dai binari tracciati dalla Costituzione.

Per questo il Presidente deve essere un “patriota”, ma non nel senso con cui la destra usa questa parola. La Patria del popolo italiano costituito in comunità politica è la Costituzione e sarà un patriota nella misura in cui veglierà sul rispetto della Costituzione. Il ruolo dell’inquilino del Quirinale, che non è mai stato solo notarile, cresce nei tempi di crisi, basti pensare al potere di rinviare alle Camere la legge già approvata dal Parlamento per una nuova deliberazione, e al potere di emanare i decreti aventi valore di legge. Inoltre può e deve bloccare quei decreti legge che appaiono macroscopicamente in contrasto con la Costituzione.

Come fece il Presidente Napolitano che rifiutò di emanare il c.d. decreto legge “Englaro” deliberato il 6 febbraio 2009 dal Consiglio dei Ministri del governo Berlusconi 2, che strumentalizzava la vicenda della povera Eluana Englaro, stracciando una sentenza della Cassazione e condannando i morenti a subire la tortura di trattamenti sanitari irrinunciabili. Nell’occasione il Presidente della Repubblica fu sottoposto a un ricatto morale di una violenza inaudita: o firmi o sei un assassino!

In tempi più recenti il Presidente Mattarella pur non avendo rifiutato di emanare i discussi decreti sicurezza Salvini, tuttavia ha fatto trapelare il suo disappunto; riguardo al primo decreto, con una lettera al Presidente del Consiglio Conte, in cui osservava che “restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato”; riguardo al secondo decreto, con una lettera inviata ai presidenti della due Camere con la quale ribadiva che “resta l’obbligo di salvare le persone in mare”, cioè proprio quello che il decreto voleva impedire. Le obiezioni del Presidente Mattarella, pur prive di forza vincolante, non sono state inutili perché hanno parzialmente orientato l’attività politica dei governi successivi e sono state valutate anche sul piano della giurisdizione.

Molto delicati sono i poteri del Presidente per la risoluzione delle crisi politiche e l’eventuale scioglimento anticipato della Camere. Su questo terreno spesso si sono verificate scintille con la maggioranza politica di turno. Nel 1994 il Presidente Scalfaro, bocciò la nomina dell’avvocato Cesare Previti a Ministro della giustizia. Se si considera che Previti risultava implicato in gravissimi episodi di corruzione per i quali in seguito venne condannato con sentenza passata in giudicato, la censura operata da Scalfaro si risolse in una garanzia per il corretto funzionamento delle istituzioni.

La seconda azione di garanzia avvenne nel 1994/1995, quando Scalfaro affrontò la crisi conseguente alla caduta del primo governo Berlusconi, che, sebbene sfiduciato dalle Camere, non aveva alcuna intenzione di abbandonare il potere e pretendeva lo scioglimento anticipato. Scalfaro difese in modo fermissimo ed intransigente le prerogative del Parlamento ed avvertì la necessità di un riequilibrio della competizione politica, chiedendo che si ristabilisse la “par condicio” prima di affidarsi nuovamente alle urne. Per questo fu accusato di golpismo da Berlusconi e fatto oggetto di una campagna durissima di ingiurie, minacce e pressioni di ogni tipo, con l’esclusione soltanto dell’aggressione fisica e della defenestrazione.

Il tema della gestione delle crisi politiche si ripropose con il Presidente Napolitano, basti pensare alle bordate che nell’agosto del 2010 i giornali di famiglia di Berlusconi gli scagliarono contro, accusandolo di “tradire la Costituzione”, per forzarne la mano e condizionarlo in vista della crisi politica che si andava profilando all’orizzonte.

L’esercizio dei più incisivi poteri di garanzia ha portato talvolta un conflitto aperto con le maggioranze politiche di turno. Perché i poteri di garanzia possano essere realmente esercitati è necessario che la figura del Presidente rimanga distinta dalla maggioranza politica di governo. A questo riguardo la Costituzione ha previsto un accorgimento: la durata del mandato presidenziale (sette anni) non coincide con la durata della Camere che lo hanno eletto (cinque anni).

Questa scelta lungimirante dei costituenti si è dimostrata particolarmente efficace in tempi di crisi della democrazia. A partire dal 1994 si sono avvicendate al governo forze politiche espressione di una cultura estranea ai principi e ai valori che sono a fondamento della Costituzione italiana. Se il sistema ha retto, se non è stata instaurata una dittatura della maggioranza, ciò è avvenuto perché hanno retto le istituzioni di garanzia, il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale, l’autorità giudiziaria indipendente.

Il caso ha voluto che in questo lungo inverno della nostra democrazia il Capo dello Stato (da Scalfaro a Ciampi, a Napolitano, a Mattarella) non è stato mai espressione di forze politiche apertamente incostituzionali. Per questo è decisiva la partita del Quirinale. La prima cosa da evitare è un incarico a tempo per escludere che nelle nuove Camere possa essere eletto un Presidente guardiano della maggioranza parlamentare piuttosto che della Costituzione.

Il prossimo Presidente noi vorremmo che fosse davvero un “patriota” della Costituzione, perché verranno tempi duri e sul Presidente della Repubblica ricadrà una grande responsabilità.

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