Il rovinio del quotidiano
Poesia «Anima madre», con le immagini di Mimmo Jodice, è la quarta raccolta in versi di Eugenio Mazzarella
Poesia «Anima madre», con le immagini di Mimmo Jodice, è la quarta raccolta in versi di Eugenio Mazzarella
Anima madre (con le immagini di Mimmo Jodice, ArtStudio Paparo, pp.176, euro 14), la quarta raccolta poetica di Eugenio Mazzarella, ancor più delle precedenti, per respiro, radicalità, asciuttezza, sapienza formale è un libro immerso nella temporalità e che però guarda al tempo come da una distanza. Di questa nettezza, nella quale il mondo stesso scrive la propria autobiografia, il culmine è la parola poetica: «Non è riuscito il tempo / A togliermi dal volto / La bellezza / Anche l’offesa ha avuto / La sua grazia / Nei miei occhi riposa / Ogni protesta / Non c’è stata tempesta».
La potenza degli affetti pervade per intero e sino in fondo le parole. Il cuore dello stare al mondo. Il suo inizio, la figlia: «Benedetta nel sole / Una bambina gioca / Mia». La sua fine, la madre: «Troppo disordine nel polso / Non si riprenderà – / Aveva la sua età // Intanto era mia madre». Sentimento puro, però, senza cedimenti sentimentali, di una misura e una forza antiche. Che non recrimina, mai. Perché «nei giorni / Quello che si poteva / Fare è stato fatto // Il semplice accaduto / Non bastava // Certo un grano di più / Sulla bilancia / Una più chiara sorte // Più propizî gli dei della fortuna / Ma questo è stato // Nessuno levi lamento / Sul piatto c’è l’essere stati / Le mura di Gerico crollate // Che senso avrebbe un pianto di formica?».
La scrittura ci rende ciò che siamo: «Noi siamo questo / Pagina e carta / E ferma volontà di andare avanti». Parole in questo libro in ascolto costante, in un riverbero che tocca il numinoso, con le immagini che Mimmo Jodice dedica a uomini e donne antiche, a torsi, frammenti, lacerti di «figure», statuaria greca e romana, stucchi pompeiani, a vedere disastro e pietà della bellezza. Così una Maschera tragica della Villa dei Misteri di Pompei che grida, «Puro dolore puro», ed è stanca, «persino di gridarlo»; O un Atleta della Villa dei papiri a Ercolano, lo sguardo «preso nel primo nulla/ nel qualcosa» colto spalancato «nell’attonito».
Una poesia, quella di Mazzarella, che è una costante Meditazione – una pagina tra le più alte del libro – sulla «luce» e il «rovinio» del quotidiano, ora fermato nell’istante, ora ragionato sul senso e la domanda che ne stringono la maglia e il calendario.
Più ancora delle altre raccolte, qui una meditazione articolata in una struttura iconica, aritmetica, rigorosa e insieme imprevedibile, nella quale la vita dolorosa ha saputo riscattarsi in molti modi e in una varietà di forme, ha saputo percepire un’Epifania che è pura musica: «Quello che i miei occhi vedono / È il mondo che prende coscienza di sé // Stella naviglio onda / Luce di questa macina / Pietra albero monte / Cuore silenzio e pena // E l’uomo che cammina / E non sa niente di sé». L’anima della madre, della terra e della storia ha saputo qui diventare una «vita che s’alza in volo e batte l’ali». Linguaggio di una pienezza dove non c’è da aggiungere niente, ed è difficile dire quale parola da questa raccolta possa essere tolta.
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