Il rock che fronteggia il buio nella voce calda di Eddie Vedder
Note sparse Si intitola Gigaton il nuovo album dei Pearl Jam, il primo nell'era trumpiana
Note sparse Si intitola Gigaton il nuovo album dei Pearl Jam, il primo nell'era trumpiana
L’ultima grande rivoluzione del rock, quella nata a Seattle all’inizio degli anni ’90, è stata costellata da un numero enorme di successi e da quasi altrettante tragedie: tutte le principali band uscite dalla scena della città nello stato di Washington hanno subito almeno un lutto. Tutte tranne i Pearl Jam, uno dei pochi gruppi emersi dalla scena grunge che continua a tenere alta la bandiera del rock sia in studio di registrazione, sia in giro per gli stadi e le arene come rito di liberazione collettiva, mostrando negli anni una coerenza ideologica non comune e mantenendo la barra dritta sulle proprie idee musicali. È il mondo intorno a Eddie Vedder, Stone Gossard, Jeff Ament, Mike McCready e Matt Cameron a essere cambiato. Quando uscì Lightning Bolt, l’inquilino della Casa Bianca era Barack Obama e, in altre parti del mondo, i movimenti populisti e sovranisti avevano appena iniziato a mostrare il loro volto. Gigaton (Universal Music/Island Records), uscito lo scorso 27 marzo è il primo album della band di Seattle da sei anni e mezzo, e il primo da quando Trump è presidente degli Stati uniti.
LA PRESENZA del miliardario di New York si sente eccome nei testi di Gigaton: «Ho attraversato il confine con il Marocco, Kashmir e poi Marrakech, Abbiamo percorso distanze infinite per trovare un posto che Trump non aveva ancora mandato a puttane», canta Vedder nella zeppeliniana Quick Escape. O anche, «Sitting Bull e Crazy Horse hanno forgiato il nord e l’ovest, oggi abbiamo Sitting Bullshit (Stronzata Seduta) come presidente» in Seven O’Clock. Gigaton riflette anche il fatto che tutti i membri della band hanno raggiunto un’età in cui la furia giovanile che aveva caratterizzato i primi album dei Pearl Jam – quelli che avevano avuto più successo e più impatto su pubblico e critica – lascia il posto non alla rassegnazione (o, peggio, alla reazione), ma a una riflessione più critica.
SE I TESTI, quando serve, sanno ancora pungere, la musica è meno rabbiosa e più misurata rispetto al passato, con riferimenti evidenti alle loro radici, come Who e Led Zeppelin. Ci sono anche elementi di novità: Dance of the Clairvoyants, il primo singolo uscito, suona moltissimo come una canzone degli U2 più recenti, e un paio di ballate (Comes Then Goes, River Cross) che chiudono l’album devono moltissimo al blues. Gigaton finisce meglio di come inizia. Quello che colpisce è che, oltre alla bellezza delle ballate che lo chiudono, in cui Eddie Vedder mostra il lato più morbido della sua splendida voce e che sono i punti più alti dell’intero album, è il fatto che, nonostante tutto, i Pearl Jam vedano una speranza alla fine del percorso: Gigaton si chiude con le parole «Share the light, won’t hold us down», «condividi la luce, non ci terranno fermi». Anche se viviamo in tempi oscuri, il rock continua a dirci che c’è sempre un modo di creare qualcosa di bello, che dia la forza di fronteggiare il buio a testa alta e con una canzone in gola.
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