«Annuncio il mio ritiro definitivo». Sono bastate poche parole affidate a Twitter perché Moqtada al-Sadr spalancasse la porta a una tensione che covava da settimane, nel caldo soffocante dell’estate irachena.

Il religioso sciita, che ha cementato il proprio consenso durante l’insurrezione armata all’occupazione Usa del 2003 con il suo «Esercito del Madhi» e optato poi per la via nazional-populista e il sostegno del Golfo, ha scelto come ultima carta l’annuncio teatrale (e poco realistico) del ritiro dalla politica, lui che con il partito al-Sairoun ha vinto le elezioni (74 seggi su 329) nell’ottobre 2021 ma si è dimostrato incapace di formare un governo (come del resto i suoi rivali).

È BASTATO UN POST perché i suoi sostenitori prendessero d’assalto la Green Zone, il centro del potere politico iracheno e sede delle ambasciate straniere, cuore delle istituzioni barricate dietro muri e checkpoint.

Lo hanno fatto svariate volte nelle ultime settimane, ma ieri la tensione è esplosa: a migliaia, al grido di «Il popolo vuole la caduta del regime» (slogan delle primavere arabe del 2011), hanno travolto i blocchi di cemento che separano la Zona Verde dal resto della capitale, sono entrati nella sede del governo, in quella del primo ministro e nel palazzo presidenziale tuffandosi in piscina e occupandone le sontuose stanze.

IL PREMIER AD INTERIM Mustafa al-Kadhimi (ex capo dei servizi segreti, molto vicino agli Usa e alla Turchia, molto poco all’Iran) ha interrotto a tempo indeterminato le attività di routine di un governo che amministra da mesi solo gli affari correnti, tanto da perdere sempre qualche pezzo: l’ultimo, il ministro delle finanze, ha mollato a metà agosto perché senza budget non sa che fare per un paese sempre più povero e senza servizi da decenni.

L’esercito ha provato a disperdere la folla con idranti, lacrimogeni e proiettili e rimosso le tende del presidio improvvisato dai sadristi. Si parla di 12 uccisi e almeno un centinaio di feriti. Ha poi indetto il coprifuoco a Baghdad a partire dalle 15.30 ora locale per estenderlo subito dopo a tutto il paese dalle 19.

Perché, nel frattempo, anche il sud ha iniziato a ribollire: a Bassora sostenitori di al-Sadr hanno chiuso le strade per il porto Um Qasr e per l’aeroporto e assaltato gli uffici governativi nei governatorati meridionali di Dhi Qar, Wasit e Maysan. L’Iran ha risposto chiudendo i valichi di confine.

A BAGHDAD A COMPARIRE è stato però lo spettro peggiore: le milizie sciite filo-iraniane, riunite sotto l’ombrello delle Hashd ash-Shaabi, rivali numero uno di al-Sadr e anche loro movimento politico (Fatah, 17 seggi), avrebbero sparato sulla folla.

Ma sono le milizie sadriste, le Saraya al-Salam a occupare di fatto la Zona Verde, con le armi ben in vista, artiglieria leggera e veicoli blindati, mentre i manifestanti distruggevano alcuni degli innumerevoli cartelli simbolo dell’influenza di Teheran su Baghdad: i volti del generale iraniano Soleimani e dell’iracheno al-Muhandis (capo delle filo-iraniane Kataib Hezbollah), uccisi il 3 gennaio 2020 da un drone trumpiano.

In serata razzi Rpg sparati dalle Saraya al-Salam contro sedi delle Hashd ash-Shaabi e delle Kataib Hezbollah nel sud e scontri diretti con l’esercito a Baghdad. Intanto montavano i rumors sul presunto arrivo di al-Sadr in Iran, forse in cerca di un’intesa.

L’ingresso in campo dei miliziani armati concretizza la paura più grande: la guerra civile tra sciiti, maggioranza in Iraq e – secondo la brutale settarizzazione delle istituzioni imposta dagli Stati uniti nel dopo-Saddam – i titolari della poltrona di primo ministro.

«Abbiamo tutti paura della guerra civile, è un incubo – spiega al manifesto un attivista di sinistra che chiede l’anonimato, tra i leader della rivolta di piazza Tahrir dell’ottobre 2019 – Al-Sadr usa sostenitori e milizie per imporre la sua soluzione e la chiama rivoluzione. In piazza Tahrir, nella Green Zone, puoi vederli in uniforme, vestiti da miliziani, con la loro “cultura” politica e in braccio le armi: sono lontanissimi dal concetto di una rivoluzione. E poi ci sono le milizie sciite che rivendicano il governo dopo il ritiro dei deputati sadristi dal parlamento, a giugno. Si muovono con intelligenza: vogliono che al-Sadr spari il primo proiettile, che faccia il primo errore, così da poter reagire».

E AL-SADR IERI ha giocato la sua carta: l’annuncio del ritiro, a cui nessuno crede visti i precedenti, giunge alla vigilia della sessione della Corte suprema chiamata a decidere sulla richiesta di dissoluzione del parlamento e di nuove elezioni, già avanzata alle varie forze politiche dallo stesso al-Sadr sabato scorso. A rifiutare è il Coordination Framework, ombrello di partiti anti-sadristi che unisce le Hashd ash-Shaabi ad altre fazioni (da quella dell’ex premier al-Maliki al Puk curdo), per un totale di 130 seggi, contro i 141 di al-Sadr, del curdo Kdp e del sunnita Taqaddum.