Il risveglio di Mario Mieli
La mostra L’ultimo Faraone protagonista a Dro, a colori e ovviamente en travesti
La mostra L’ultimo Faraone protagonista a Dro, a colori e ovviamente en travesti
Una sequenza di settantadue fotografie permette di rivedere Mario Mieli a colori dopo trentacinque anni: è il 1983 quando sceglie di uscire di scena il pensatore più geniale e controverso del movimento di liberazione omosessuale italiano degli anni Settanta. Le foto, inedite finora, vengono presentate per la prima volta al pubblico di Centrale Fies a Dro in provincia di Trento, in occasione della XXXVIII edizione del festival Drodesera. L’autore degli “Elementi di critica omosessuale” è tra i protagonisti della giornata di domani, 22 luglio, con un’installazione multimediale basata sulla proiezione di queste immagini. L’intervento “Mario Mieli. Ebbene sì!” viene realizzato su impulso di Franco Buffoni, amico di Mieli sin dal 1970, che condivide con lui l’esordio in poesia nello stesso collettivo milanese, nonché l’esperienza della nascita a Londra del Gay Liberation Front. In aggiunta, una mostra di scritti autografi, materiale epistolare e una selezione di libri e riviste dell’epoca.
A colori, come le giovani generazioni non l’hanno mai visto e come non lo vedevano da tempo quelli che lo hanno conosciuto, frequentato, amato e odiato, combattendo accanto a lui nelle piazze sparute delle prima manifestazioni omosex, ascoltandolo parlare nelle riunioni dei collettivi, leggendo i suoi testi o applaudendolo a teatro. Pochissime, in bianco e nero, sbiadite dal tempo e sgranate, le immagini che circolavano di Mieli fino al ritrovamento fortuito, avvenuto due anni fa a Roma tra i banchi del mercato di Porta Portese, di queste foto vividissime, potenti come un lampo, un flashback colorato che ridona tridimensionalità e profondità a un volto quasi dimenticato. Un ritrovamento importante, che colma un vuoto nell’immaginario collettivo.
Siamo alla fine degli anni Settanta, forse proprio a Roma. Il servizio fotografico sembra scattato in uno spazio chiuso, la figura di Mieli si staglia contro un fondale neutro. Quella che si svolge davanti all’obiettivo non è però una semplice sessione di scatti, ma una vera e propria performance. L’anonimo fotografo non viene chiamato a fare dei ritratti della persona, ma a raccontare un personaggio. Sin dalle prime fotografie Mario Mieli è nudo, ovviamente truccato; il rossetto sulle labbra è rosso come la cromatura della motocicletta su cui è seduto con posa spavalda. Guarda fisso verso la macchina fotografica, ai piedi ha un paio di elegantissimi sandali col tacco, le gambe fasciate da un gambaletto nero fatto con un nastro di plastica, lo stesso gli avambracci. Al collo ancora strati di nastro rosso, usato come collare e fatto scendere lungo il petto e l’addome a tracciare poche linee, essenziali, quasi la sinopia di una guêpière. I capelli cotonati, ma solo a metà: eccolo Mario Mieli, fiero, disinvolto, persino strafottente, anatomicamente maschile ma femminile, anzi transessuale per vocazione profonda, giocare con gli stereotipi culturali dei generi, mescolarli, citando l’immaginario patinato delle playmate con ironia dissacrante e allusioni sadomaso. In altri primi piani appare una veletta o si avvolge intorno al collo un foglio di carta crespa rossa, che diventa una sciarpa charmant o un’estrosa gorgiera. Più avanti, sempre nudo ma con occhiali da sole, giubbotto di pelle e cravatta allentata, gioca con un cane o si gira per mostrare i glutei, novella Afrodite Callipigia. “La via anale contro il capitale” degli slogan urlati in piazza è lontana oppure vicinissima, chissà, in questa commistione inscindibile tra alto e basso, politico e privato, scena e fuori scena. Poi abbandonata la motocicletta e tolto ogni orpello Mario Mieli, se è possibile ancora più nudo, inizia a giocare con teli di cellophane trasparente, di plastica nera e con la carta rossa. Una tavolozza essenziale che esalta il suo pallore virginale. Si sdraia tra i teli offrendosi al fotografo come Marilyn, poi se ne adorna, annodandoli e drappeggiandoli vezzosamente intorno al busto. La parte inferiore del corpo resta nuda, le pudenda appena coperte con una mano, il culo sempre esposto, ora ostentando dei graffi, dei segni netti come di frustate. Mario fuma una sigaretta, ma soprattutto davanti alla macchina fotografica ride con la bocca imbellettata di rossetto e ride con gli occhi, nel fulgore della sua giovinezza. Potrebbe avere ventisette anni in questa sequenza di immagini. Non di più. Probabilmente è il 1979, perché l’abbigliamento di drappi arrangiati sul corpo è simile a quello che sfoggia nelle fotografie di scena – in bianco e nero – del suo spettacolo “Krakatoa”, fatte da Fabrizio Garghetti durante il ciclo “Sex Poetry” al teatro Out Off di Milano e pubblicate all’epoca sul mensile Alfabeta.
Si è già consumata a questo punto la stagione più fervida dell’intensa attività politica e culturale di Mario Mieli, nato nel 1952 in una ricca famiglia ebraica di industriali milanesi. Una vita a velocità supersonica, sfidando ogni regola e ogni pregiudizio, alla ricerca di una felicità che coincidesse con la liberazione del corpo, dei desideri e con un pensare politico incarnato in un’utopia presente. Poeta a diciassette anni, poi leader carismatico e teorico raffinato del movimento omosessuale, quindi attore teatrale e romanziere, via via sempre più affascinato da suggestioni alchemiche ed esoteriche – passando persino per la coprofagia fatta oggetto di performance sconcertanti – che aggiungono riverberi lisergici alla sua elaborazione politica, in un progressivo e tragico distacco dalla realtà.
Dopo l’euforia londinese, nel 1971 Mieli è fra i fondatori del Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano accanto ad Angelo Pezzana, presente sin dalle prime riunioni a casa di Fernanda Pivano e nel 1972 alla prima uscita pubblica del movimento contro il Congresso internazionale sulle devianze sessuali organizzato a Sanremo dal cattolicissimo Centro italiano di sessuologia. Poi, quando Pezzana decide di federarsi al Partito Radicale, abbandona il FUORI! e crea i Collettivi Omosessuali Milanesi.
Quando queste foto vengono scattate, sono già usciti due dei tre testi che hanno raccolto il suo pensiero e la sua azione. L’anno cruciale è il 1977. L’anno degli “Elementi di critica omosessuale”: un esordio fulminante per Einaudi, rielaborazione della tesi di laurea in filosofia morale scritta due anni prima, a ventitré anni, che sarà tradotta in spagnolo nel 1979 e in inglese nel 1980 diventando uno dei testi fondamentali a livello internazionale degli studi gender e queer. Nel ’77 esce anche per le edizioni L’Erba Voglio il testo dello spettacolo teatrale “La Traviata Norma ovvero: vaffanculo… ebbene sì!” del Collettivo Nostra Signora dei Fiori di cui è animatore. In autunno Mieli viene presentato dalle pagine del settimanale Panorama come “profeta del sesso futuro”. Intanto con la compagnia Immondella e gli Elusivi calca il palcoscenico con “Questo spettacolo non s’ha da fare: andate all’inferno”. A questo punto la mappatura dei suoi spettacoli e delle performance si fa caotica e frastagliata, fino a “Ciò detto, passo oltre”, testo presentato nel 1981 a Milano in occasione della “Sei giorni del monologo”.
Oltre a scrivere sulle testate del movimento, Mario Mieli arriva anche in tv e va a intervistare per la Rai i lavoratori dell’Alfa Romeo sui temi della sessualità presentandosi in tuta bianca da operaio ma truccato e con tacchi a spillo. Infine, poco prima della morte, inizia una collaborazione con il regista Guido Tosi, con cui scrive la sceneggiatura di “Una favola spinta”, film trasmesso dalla Rai di Milano nel 1984.
Il suo terzo libro, l’autobiografia romanzata “Il risveglio dei Faraoni”, uscirà postumo nel 1994 su iniziativa di un gruppo di amici che hanno recuperato le bozze del romanzo consegnate a Einaudi nel 1982. Il padre ne impedì la pubblicazione mentre Mario era in vita e questo, insieme a una profonda crisi personale e politica, è il motivo del suicidio a soli trentun anni. Compiuto con un gesto poetico e assurdo, come un urlo strozzato, mettendo la testa dentro il forno come Sylvia Plath. Poco dopo la morte, l’intitolazione a suo nome del Circolo di cultura omosessuale romano tuttora operante. Non vuole farsi dimenticare Mario Mieli, con tutte le contraddizioni della stagione di cui è figlio e testimone, e ora queste nuove immagini a colori lo fanno tornare vivo. Insieme alla ristampa degli “Elementi”, che Feltrinelli ha finalmente riportato in libreria alla fine del 2017.
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