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Il rispetto della Costituzione è un optional

Riforme e governo Il decreto sicurezza bis presenta vistosi elementi di incostituzionalità, e forse qualcuno aspetta da Mattarella un segnale, che non verrà. Se avesse inteso darlo, l’avrebbe fatto al momento dell’emanazione del […]

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 7 agosto 2019

Il decreto sicurezza bis presenta vistosi elementi di incostituzionalità, e forse qualcuno aspetta da Mattarella un segnale, che non verrà. Se avesse inteso darlo, l’avrebbe fatto al momento dell’emanazione del decreto, che già conteneva elementi per una valutazione. Che però Mattarella ha evidentemente ritenuto non giungesse agli estremi di una manifesta incostituzionalità.

Si sente fare l’ipotesi che la promulgazione sia accompagnata da una lettera – monito, come già è avvenuto in altra occasione. È possibile, anche se non è nell’interesse della Presidenza insistere troppo sulla strada di questa specie di esternazione rafforzata. Ne sottolinea ad un tempo il ruolo e l’impotenza, tradotta nella scelta di lasciare ad altri la tutela di un bene – la difesa della Costituzione – affidato in primis allo stesso Presidente. In ogni caso, la partita si giocherà ormai sul tavolo della Corte costituzionale.

La Corte – sarà bene ricordare – è storicamente restia a intervenire sulla discrezionalità del legislatore in tema di sanzioni penali. Ma è incoraggiante la recentissima sentenza 195/2019, che sul primo decreto sicurezza (d.l. 113/2018, conv. l. 132/2018) ha dichiarato illegittimo il potere sostitutivo dei prefetti (art. 28, co. 1), e ha definito la lettura costituzionalmente compatibile del daspo urbano per i presidi sanitari (art. 21, comma 1, lettera a). Se fosse il segnale di una Corte propensa ad alzare l’asticella nella difesa della Costituzione, il giudizio non potrebbe che essere positivo.

Viviamo una stagione in cui il rispetto della Costituzione per la maggioranza e il governo in carica è un optional. Talvolta, un fastidioso impedimento. Il decreto sicurezza bis è un caso, ma non il solo. Si pensi alla sinergia tra la riduzione del numero dei parlamentari, prossima alla votazione conclusiva, e la legge elettorale vigente. Gli studi e le simulazioni – da ultimo su La Stampa del 6 agosto – danno uno scenario in cui entrano in Parlamento tre o quattro forze politiche, e vengono lasciati senza rappresentanza milioni di elettori e parti significative del territorio. Ora, la legge elettorale di per sé probabilmente passa le maglie – troppo larghe – delle sentenze Corte cost. 1/2014 e 35/2017. Ma è dalla sinergia con la riforma costituzionale che viene il danno. Dobbiamo considerare un nuovo assalto per la via giudiziaria, volto a chiedere alla Corte una rivalutazione sulla legge elettorale alla luce della situazione nuova che venisse a determinarsi con la riduzione del numero dei parlamentari.

Strano destino, quello delle riforme. Il Pd forzava l’approvazione del Rosatellum quando già era stabilmente il terzo partito dopo M5S e Lega, ed era dunque chiaro che ne avrebbe ricevuto un danno grave e irreparabile. La correzione maggioritaria di collegio del Rosatellum avvantaggia di molto il primo partito, meno il secondo, per niente il terzo. Ma a Renzi interessava soprattutto il voto bloccato sui capilista, per mantenere il controllo sui gruppi parlamentari. Oggi la domanda è: perché i 5Stelle, ormai decisamente proiettati verso la terza posizione dopo Lega e PD, spingono tanto per la riduzione del numero dei parlamentari con la legge elettorale che c’è? A parte la sorte dei singoli parlamentari, che può non interessare, è il Movimento che finirà immediatamente nella marginalità politica, tornando ad essere il contenitore indifferenziato di proteste delle origini. Una parabola velocissima verso il basso dopo il 4 marzo 2018. Ancor più se prima del prossimo voto M5S avesse dilapidato sulle autonomie differenziate il tesoretto elettorale del Sud.

Uno scenario di destra egemone, Pd ancora in mezzo al guado, M5S marginale, sinistra desaparecida. Questa potrebbe essere l’Italia prossima ventura, e che in fondo già ci viene data da leggi, decreti, riforme. Secondo un’espressione cara a filosofi e giuristi, il diritto è fare cose con parole. Ma che accade se dall’eloquio si passa al turpiloquio?

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