Il rischio pensato e l’azzardo calcolato
Verità nascoste La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos
Verità nascoste La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos
Nella gestione dalla pandemia il «rischio pensato» ha faticato molto sia nell’impostazione del lockdown sia delle riaperture. Forti sono le pressioni, che attraversano il pianeta, verso il «rischio zero» o verso l’azzardo.
Queste prospettive estreme si sovrappongono, non sono opposte. Per comprenderlo è sufficiente riflettere su una evidente contraddizione: gli Stati democratici hanno imposto il lockdown, ma non la vaccinazione. Perfino gli operatori sanitari anti-vax sono stati, di fatto, tollerati.
Questo atteggiamento, apparentemente schizoide, ha una sua intima coerente motivazione: l’inchinarsi, in entrambi i casi, alla domanda di eliminazione assoluta del rischio. Non è il prodotto di decisioni realmente politiche, perché in questo campo, squisitamente emotivo, nessuno decide. Il processo decisionale è impersonale.
È in atto l’inseguimento di un consenso supposto politico che non deriva da cittadini responsabili, partecipi alla gestione degli interessi comuni e informati, ma da movimenti di massa anonimi, raggruppamenti di singoli uniti in modo strumentale, opportunistico e francamente ignoranti, che usando il sentito dire o ricostruzioni semplificanti, oltraggiose della realtà, fanno tendenza e opinione.
Siamo da tempo una società in cui il messaggio, il contenitore, è diventato contenuto. L’opposto di ciò che accade all’inizio della vita quando nel bambino il vissuto e la sua espressione convivono nel gesto senso motorio: il contenuto è anche contenitore.
La distruzione dei contenuti, quindi dell’esperienza vissuta, ci lascia in balia di significanti/azioni che sono gusci vuoti di esistenza vera.
La fobia del rischio e l’azzardo come diniego del pericolo sono due modalità convergenti di costruzione di un’idea del mondo che della realtà e dei suoi imprevisti nulla vuole sapere.
Questa idea, che deriva da un terrore nei confronti della vita, crea un senso formidabile di sicurezza psicologica, perché compatta la psiche collettiva, ripiegandola su se stessa. Tuttavia poiché la rende ottusa, isolata da ciò che la circonda, crea una oggettiva, e potenzialmente catastrofica, precarietà di vita.
Prigioniere del «diritto alla sicurezza», che tirando le somme si riduce alla volontà di sopravvivere biologicamente, le nostre società viaggiano ciecamente verso l’autodistruzione.
La sopravvivenza biologica l’assicura solo la sanità psichica. E la psiche collettiva che costruisce la sua rappresentazione del mondo con messaggi privi di contenuto, affidandosi a manipolazioni prospettiche sostituenti la realtà con uno schermo animato da idoli, immagini prive di vera consistenza, è malata.
Il rischio è ineliminabile dalla vita, perché non si può conoscere, abitare, godere la realtà, senza l’incalcolabile e la sorpresa. Il rischio pensato è l’unico, tuttavia, che può esserci di vantaggio vero: esso non ha che fare con i pericolo di un danno irreparabile di sé o dell’altro, che lo configurerebbe come azzardo, ma con il desiderio di trasformazione e con la libertà di esplorare nuovi orizzonti che implicano sempre la possibilità di errori di investimento, di perdite di rapporti e di pentimenti. Ignora il calcolo, si allea con la prudenza: l’accortezza del passo che misura lo spazio e espande la portata dello sguardo, allargando il paesaggio alla vista.
Pensare il rischio significa uscire dalla progressione lineare dell’azione, sospendere il giudizio in attesa della sua sedimentazione, sostare con le emozioni e col pensiero nella contemplazione dei panorami aperti dalle deviazioni di rotta.
Non è la meta, il risultato concreto, che conta, ma il cambiamento della prospettiva sulla propria esistenza. L’opposto del rischio pensato è l’azzardo calcolato: il volgere l’imprevisto al suo contrario, determinandolo a proprio vantaggio. Barare con la vita, piegandola al bisogno di un controllo onnipotente del suo fluire libero, per consegnarsi alla morte del desiderio.
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