Il rischio di voltare le spalle a Teheran
Ue e crisi siriana Passano sotto silenzio i bombardamenti israeliani sulle postazioni iraniane in Siria: la leadership dello stato ebraico vorrebbe suscitare una qualche reazione dei pasdaran, che offrirebbe il pretesto per colpire le città della Repubblica islamica
Ue e crisi siriana Passano sotto silenzio i bombardamenti israeliani sulle postazioni iraniane in Siria: la leadership dello stato ebraico vorrebbe suscitare una qualche reazione dei pasdaran, che offrirebbe il pretesto per colpire le città della Repubblica islamica
Intervistato in diretta da TF1, giovedì scorso il presidente francese ha dichiarato che in Siria l’obiettivo è combattere il terrorismo internazionale. Emmanuel Macron ha sorvolato sul fatto che quello scopo è condiviso anche dalle autorità della Repubblica islamica dell’Iran, che in questi anni hanno dispiegato militari sul campo e speso parecchi denari per contenere l’avanzata di Daesh.
Il presidente francese ha i suoi motivi per sorvolare sull’Iran, non ultimo i contratti appena firmati con il principe saudita Mohammed bin Salman. Quest’ultimo non è in buoni rapporti con Teheran, e se si arma fino ai denti è proprio in chiave anti-iraniana: difficilmente la mediazione offerta dall’iracheno Muqtada al-Sadr, discendente di una dinastia di ayatollah di origine iraniana, potrà sortire un qualche effetto. Intanto, passano sotto silenzio i bombardamenti israeliani sulle postazioni iraniane in Siria: la leadership dello stato ebraico vorrebbe suscitare una qualche reazione dei pasdaran, che offrirebbe il pretesto per colpire le città della Repubblica islamica.
Tutto questo dimostra, ancora una volta, l’isolamento di Teheran: gli interessi degli iraniani, per certi versi convergenti con quelli dell’Europa come nel caso della lotta contro Daesh, finiscono nel dimenticatoio. E lo stesso rischia di succedere con l’accordo nucleare del luglio 2015: in attesa che il presidente statunitense Donald Trump rinnovi il waiver delle sanzioni il prossimo 12 maggio, viene meno la fiducia di manager e imprenditori che avrebbero voluto investire in Iran, anche perché resta estremamente complicato fare e ricevere bonifici. L’economia iraniana è solida e la bilancia dei pagamenti può contare non solo sulla vendita di petrolio e gas, ma anche su 40 miliardi di esportazioni non energetiche, a fronte di importazioni di beni e servizi pari a 50 miliardi l’anno. Il problema è portare a casa i proventi delle esportazioni perché la Repubblica islamica resta esclusa dai circuiti bancari internazionali e i maggiori istituti di credito non vogliono averci a che fare perché temono le sanzioni del Tesoro americano: quello iraniano è un sistema finanziario che deve fare da sé, senza carte di credito (ne sanno qualcosa i turisti, che devono portarsi i contanti) e con un quantitativo limitato di banconote in valuta straniera.
In questi giorni, ad avere portato alla svalutazione del rial, la valuta locale, sono questi fattori a cui si aggiungono le tensioni internazionali e interne: il presidente Rohani non ha una soluzione immediata alle difficoltà economiche che tre mesi fa avevano portato migliaia di iraniani a protestare in un’ottantina di località. La svalutazione del rial non è da sottovalutare, perché negli ultimi sette mesi ha perso un terzo del suo valore: se nel 1979, l’anno della Rivoluzione, bastavano 70 rial per acquistare un dollaro, quando il presidente Hassan Rohani era stato eletto nel 2013 ne servivano 36mila, nell’aprile dell’anno scorso 40mila, mentre lunedì nella capitale Teheran gli agenti di cambio ne chiedevano 60mila.
A complicare la situazione, ci sono tassi di cambio più favorevoli per gli studenti e alcune categorie. Intanto, per porre rimedio alla svalutazione, martedì il vice presidente Eshaq Jahangiri ha unificato il tasso di cambio a 42mila per tutti, privati e società, precisando che chi offre un tasso diverso potrà essere accusato di contrabbando. Non è la prima volta che le autorità della Repubblica islamica tentano di unificare il tasso di cambio, ci aveva già provato il presidente conservatore Mahmud Ahmadinejad nel 2012 ma aveva dovuto fare marcia indietro. Per ora la misura annunciata da Jahangiri non ha portato a grandi risultati. Da parte sua, la Banca Centrale rende noto che i privati possono detenere in contanti al massimo l’equivalente di 10mila dollari in valuta straniera. Si sta anche valutando se prendere come riferimento l’euro anziché il dollaro. Ma non è con questi escamotage che ayatollah e pasdaran riusciranno a sdoganare un paese sempre più isolato. Resta da vedere se, in virtù di un interscambio commerciale in crescita nonostante le difficoltà, l’Europa deciderà di tendere la mano a Teheran.
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