Cultura

Il rischio di ritrovare il popolo attraverso la nazione

Il rischio di ritrovare il popolo attraverso la nazioneUn'installazione di Didier Faustino

Scaffale Nel suo ultimo saggio, "Il socialismo è morto, viva il socialismo. Dalla disfatta della sinistra al momento populista" (Meltemi) Carlo Formenti declina il localismo in chiave anti-capitalista. Secondo l'autore, la sinistra dovrebbe opporsi alla modernizzazione globalista per recuperare le proprie radici sociali

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 3 ottobre 2019

Nel mondo di oggi, è possibile recuperare alcuni elementi del tradizionale socialismo per dare una nuova identità e rappresentanza di sinistra anche alle classi popolari? È questa la domanda principale che sembra muovere il libro di Carlo Formenti Il socialismo è morto, viva il socialismo. Dalla disfatta della sinistra al momento populista (Meltemi, pp. 274, euro 18).

Il modo in cui Formenti cerca di rispondere a questa domanda è estremamente ricco, anche perché affonda le radici in una riflessione portata avanti ormai da molti anni, Per riassumere e commentare le sue argomentazioni ci si potrà concentrare su tre temi. Il primo è l’idea che l’autore ha della sinistra: l’anti-capitalismo e l’abbattimento del sistema devono essere i principali attributi di un’azione politica di sinistra. Da qui deriva la sua critica radicale alla cultura politica dei ceti medi riflessivi: innanzitutto, quella che Mark Lilla ha definito in un recente contributo la «politica progressista dell’identità» e poi all’idea di una società globale in Rete come vettore di nuove istanze radicali (prospettiva, tra l’altro, alla quale lo stesso autore ha in passato aderito per poi prenderne le distanze).

IN BREVE, secondo Formenti tanto la centralità dell’identità sessuale e di genere quanto quella del valore della diversità culturale nel discorso della sinistra «post-moderna» rafforzano la cultura e la legittimazione del capitalismo globale, conducendo ad una vera e propria eclisse dell’ormai dirompente «questione sociale». Gli stessi ceti medi riflessivi si auto-ingannano quando pensano che il capitalismo globale, in fondo, non li danneggi e che per essere progressisti basta sposare il «politicamente corretto». Allo stesso modo, lo sviluppo della Rete è tutto interno al capitalismo e, dunque, nessuna istanza di rinnovamento radicale può venire da lì.

Il secondo tema rilevante nell’analisi di Formenti è il suo atteggiamento nei confronti della modernizzazione che per lui si identifica oggi con lo sviluppo della globalizzazione, il trionfo dei flussi senza controllo, il mito salvifico delle tecnologie digitali e, soprattutto, la crescente inclusione di ogni rapporto umano all’interno del capitalismo. Mentre da Marx in poi la teoria socialista ha sempre esaltato la modernità e il cambiamento rivendicando, in nome dell’ideale progressista illuminista, la capacità di portarli avanti in modo più equo e radicale della stessa borghesia, per Formenti la pratica rivoluzionaria è stata un’altra cosa: in tutte le rivoluzioni dell’Ottocento e del Novecento le masse popolari hanno espresso innanzitutto una volontà di difesa e di depotenziamento dalla «distruzione creatrice» della modernità.

TANTO DAL PRIMO tema quanto dal secondo deriva la conseguenza che solo partendo da ciò che è ancora fuori dalla modernizzazione globalista (i territori, le tradizioni, i patrimoni culturali e paesaggistici delle comunità) è possibile riarticolare un discorso anti-capitalista. E qui veniamo al terzo, decisivo tema: il populismo. Secondo Formenti, infatti, il populismo deve essere ripensato e riarticolato da sinistra come una modalità di rappresentanza dei ceti popolari e di destrutturazione progressiva del capitalismo. Questa operazione può e deve riuscire partendo da Laclau ma deve svilupparsi re-integrando alcuni temi classici del socialismo. In primo luogo, il localismo e soprattutto la centralità dello Stato-nazione come promotore di diritti sociali e controllore/programmatore dell’economia. In altre parole, come istituzione in grado di dispiegare tutta la potenza della sovranità popolare in contrapposizione ai vincoli e ai meccanismi imposti per via tecnocratica dalla sovranità dei mercati globali e dall’Unione europea. Per Formenti occorre quindi legare nazione, comunità e socialismo rimettendo al centro le istanze, innanzitutto materiali, dei ceti popolari. Abbandonare le sirene «liberal» e pro-global della sinistra contemporanea alle quali gli stessi post-operaisti (dai quali egli pure proviene) hanno ceduto con le loro idee di «cognitariato», «moltitudine» e «Impero».

NON C’È DUBBIO che il discorso di Formenti metta al centro temi fondamentali per il rilancio della sinistra quali la rivalutazione delle istanze materiali dei ceti popolari, l’abbandono di una politica troppo intellettualistica o la presa di coscienza del ruolo fondamentale che ancora gli Stati svolgono nel gioco politico ed economico mondiale: da Corbyn a Sanders sono questi gli orientamenti su cui una parte della sinistra sta provando a ricostruire nuove forme e formule della sua azione politica. Tuttavia, ciò che lascia profondamente perplessi nell’analisi di Formenti è l’eccessiva disinvoltura – priva di coscienza storica – con cui viene rilanciato il legame diretto tra nazione e questione sociale: si tratta di un terreno pericolosissimo poiché senza l’intermediazione fondamentale dello Stato di diritto questi due elementi, e le stesse istanze democratiche radicali, rischiano di scivolare, nel migliore dei casi, nel sansepolcrismo. Ecco perché non è nella «mela avvelenata» del populismo che la sinistra contemporanea può davvero pensare di ritrovare quel rapporto organico con i ceti popolari che, per altre vie, occorre certamente rimettere al centro della sua agenda.

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