Visioni

Il rinascimento vocal di Cécile Mc Lorin Salvant

Il rinascimento vocal di Cécile Mc Lorin SalvantCécile Mc Lorin Salvant e il trio di Jacky Terrasson – foto Musacchio e Ianniello

Concerti Quasi in chiusura alla 40esima edizione del Roma Jazz Festival al parco della musica, la travolgente esibizione della vocalist americana insieme al trio di Jacky Terrasson

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 29 novembre 2016

Un virtuosismo a tratti autocelebrativo si sposa, alla fine, con la profondità del sentimento e la forza del feeling. Ecco il senso del recital del trio di Jacky Terrasson con la vocalist Cécile McLorin Salvant. Ad offrirlo il 40° Roma Jazz Festival al Parco della Musica quasi in chiusura di cartellone. Del cinquantenne pianista franco-americano si conoscono le qualità tecniche ed un impiego, oggi così poco diffuso, delle dinamiche che gli consentono di far sussurrare melodicamente il suo strumento come di sondarne le valenze ritmico-percussive. Terrasson deve molto ad Ahmad Jamal ma entrambi soffrono dello stesso problema: alla distanza (media o lunga) la loro formula espressiva mostra i suoi limiti e quello che all’inizio stupisce con lo scorrere del tempo può diventare manierato o ripetitivo. Il pianista ha suonato, dopo un caloroso per quanto sintetico saluto, con il contrabbassista Chris Thomas (a tratti «legnoso»e talvolta poco intonato) e con il batterista Lukmil Perez (sempre in sintonia con i continui cambi di tempo e ritmo del leader).

Nel suo gioco della trasfigurazione dei brani ci si può perdere inseguendo i riferimenti o ci si può abbandonare a quella che, in definitiva, appare come «nuova musica», al di là della «risignificazione» tipica del jazz. Ad esempio nell’alternanza delle due sezioni del primo brano (tra arpeggi sognanti e bordate ritmiche) poco importa che emergesse l’accenno tematico a My Funny Valentine. Nel gioco di incastri poliritmici del successivo pezzo era ininfluente che risaltassero citazioni da Take Five. Se un merito ha il trio di Jacky Terrasson è comunque quello di saper passare dalla staticità quasi assoluta, dalla tensione ad una fluente dinamicità come dal pianissimo al fortissimo (Caravan). Un gusto per gli estremi e per la sorpresa che affascina ma può annoiare, in grado di mettere in vetrina una tecnica eccellente ed una padronanza di repertori fuori dal comune.

All’ingresso della ventisettenne vocalist americana (il suo terzo cd For One to Love ha vinto nel 2016 un Grammy Award come Best Jazz Vocal Album) l’atmosfera cambia di colpo e dal manierismo di torna al Rinascimento. Terrasson si ricorda di essere stato il pianista di Betty Carter e Cécile McLorin Salvant sfodera tutte le sue doti di grande interprete, padroneggiando tre lingue e arricchendo ogni melodia di profonde valenze emotive. La tecnica inappuntabile, la dizione chiarissima, la presenza scenica essenziale, il calore interpretativo hanno riscaldato la platea, attraverso un repertorio variegato.

Può cantare C’est mon homme (Edith Piaf) o Letra ‘Alfonsina y el mar (Mercedes Sosa), Yesterdays come Oh My Life di John Lennon e dimostrare la propria macerata capacità di «dare spessore» a ciascun brano, come una Billie Holiday contemporanea. Al fianco della cantante Jacky Terrasson ritrova passo e misura unito ai colpi di genio, come quello di transitare attraverso Gershwin per arrivare a Lennon, complice le affinità armoniche. Applausi scroscianti.

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