Visioni

Il rinascimento di Jim O’Rourke

Il rinascimento di Jim O’RourkeJim O'Rourke – foto di Massimo Golfieri

Live Per l'apertura della trentatreesima edizione di AngelicA Festival il ritorno in Italia dell'artista chicagoano di stanza a Tokyo

Pubblicato più di un anno faEdizione del 6 maggio 2023

Inaugurazione prestigiosa per la trentatreesima edizione di AngelicA Festival con il ritorno in Italia dopo anni di Jim O’Rourke, chicagoano di stanza a Tokyo, vero e proprio uomo rinascimentale capace nel tempo di incidere un solco nella contemporaneità, spaziando in ambiti sonori tra i più lontani: elettroacustica, improvvisazione, canzone evoluta, ruggini rock su cui sono piovuti consensi da ogni dove, il ruolo di produttore (c’è lui al mixer nell’ultimo di Fire!Orchestra), quello di cantante, autore, compositore. Proprio in quest’ultima veste lo abbiamo visto in azione al Teatro San Leonardo, intento a distillare suoni al computer con Eiko Ishibashi, autrice della premiata colonna sonora di Drive My Car, poliedrica nel vagare tra ambient e songwriting sghembo e raffinato. Dopo Torino, Padova e Salerno il duo approda a Bologna per un doppio set da tutto esaurito a testimoniare la febbrile attesa. C’è chi è venuto da Roma, chi da Milano o dall’Abruzzo, chi lo ha conosciuto come bassista dei Sonic Youth, chi è rimasto folgorato dai suoi dischi avant-pop, chi dai Gastr Del Sol, chi colleziona tutte le sue uscite elettroniche, pubblicate solo su Bandcamp.

Nei mille passaggi affiorano tante suggestioni: Big Bang, un frinire di cicale digitali, la Sagra della Primavera al silicio, un brulicare di punti interrogativi free, ombre antiche di canti sacri.

IL MAESTRO e  Ishibashi ci conducono in un viaggio da ambient del dopo-bomba o da sveglia psichica, automatica, in un mondo onirico, ipervelocizzato. Colpiscono la qualità orchestrale della composizione, la sua natura di sinfonia elettronica, l’uso delle dinamiche, delle pause, l’ampio respiro e l’intelligenza di non raggiungere mai un picco, muovendosi imprevedibilmente nel flusso. I suoni prodotti dai Mac dei due sono immaginifici, come in un pachinko psichedelico. Nei mille passaggi affiorano tante suggestioni: Big Bang, un frinire di cicale digitali, la Sagra della Primavera al silicio, un brulicare di punti interrogativi free, ombre antiche di canti sacri. A tratti siamo dalle parti dei pezzi per flauto di Stockhausen proiettati su scintillanti fondali in HD; poi un vaghissimo blues da un mondo senza gravità, per approdare infine a un glitch di carillon dove viene accennata una voce di sirena. Ishibashi usa il traverso come un synth, trasfigurandolo: tutto si tiene in questo trattato di  scienza del dettaglio. Una musica capace di muoversi e (com)muovere senza un battito a irrorare di ritmo e sangue un corpo di elettronica organica, celeste. Manipolazioni, allusioni, deviazioni: illuminazioni.

 

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