Il riarmo indecente svuoterà il solito granaio
Governo Se non sapremo dare continuità alla mobilitazione sindacale messa in campo con il giusto sciopero generale del 16 dicembre, questi costi da economia di guerra svuoteranno il solito granaio, e saranno scaricati, nel modo più classista e tradizionale, sui ceti popolari e sul mondo del lavoro
Governo Se non sapremo dare continuità alla mobilitazione sindacale messa in campo con il giusto sciopero generale del 16 dicembre, questi costi da economia di guerra svuoteranno il solito granaio, e saranno scaricati, nel modo più classista e tradizionale, sui ceti popolari e sul mondo del lavoro
Sulla guerra nei mezzi di informazione ormai debordano menzogne, retorica e ipocrisia. Siamo al pensiero unico che rimuove la memoria storica per far leva sugli aspetti emozionali, con riferimenti improvvidi e strumentali al passato e a un’idea di democrazia e di etica occidentale mistificante.
Nel paese cattolico per eccellenza viene rimossa da certa stampa asservita al potere e alle lobby delle armi persino la forte denuncia del Papa, il suo vergognarsi dinanzi all’aumento delle spese militari. Che la guerra, per sua natura, non possa avere regole né limiti l’aveva ben capito Albert Einstein. È lo strumento della guerra ad essere un crimine contro l’umanità.
La si può abolire solo con un salto di qualità della coscienza civile, con l’affermazione della cultura della pace, della convivenza civile e di una diversa visione del mondo. Invece siamo ormai alla cultura e a un’economia di guerra, in dispregio della nostra Costituzione che la “ripudia” e in contrasto con l’esortazione del Presidente partigiano Sandro Pertini di “svuotare gli arsenali e riempire i granai”. Se vuoi ripudiare e abolire la guerra e costruire la pace non puoi aumentare le spese militari. Anche questa guerra cruenta in Europa, che poteva e doveva essere evitata, non è più grande, più mostruosa, più violenta e inutile di tante altre, è solo più vicina a noi.
I profughi che scappano dall’Ucraina bombardata non sono diversi dagli altri, solo che non provengono da paesi lontani, non sono vittime delle nostre bombe democratiche, civili e “intelligenti”, e hanno la pelle del nostro stesso colore. Volere pure costruire un esercito europeo quando non abbiamo mai realizzato un’Europa dei popoli, politica e sociale e una qualsiasi politica estera condivisa è da irresponsabili. Il rischio di un’escalation internazionale è reale. Fermare la guerra e preparare la pace dovrebbe essere la base di riferimento culturale, etico e politico del governo italiano.
Invece il governo ha scelto l’invio di armi e un indecente, criminale riarmo destinando, come richiesto dalla Nato, il 2% del Pil italiano. Tradotto, in un’Italia ancora immersa in una crisi di sistema, sanitaria, sociale ed economica, segnata dalla disoccupazione e dalla precarietà di lavoro e di vita, aumentiamo la spesa militare dagli attuali 25 miliardi l’anno a 39: 104 milioni di euro al giorno.
Ma non basta. Il ministro, ormai più della guerra che della difesa, su mandato del governo italiano, divenuto ormai un’utile comparsa, si vanta di aver raggiunto un accordo militare Roma-Budapest con il nazionalista ungherese Viktor Orbán, per incrementare la cooperazione strutturata in ambito militare, rafforzare l’interoperabilità tra le forze armate, l’addestramento delle truppe e la collaborazione industriale. Un accordo con il razzista che ha eretto un muro di filo spinato lungo i confini con la Serbia e la Croazia per respingere disumanamente le migliaia di migranti, di profughi richiedenti asilo, in fuga dalla guerra in Siria. Lo stesso Pd, prima, dichiarava che quel regime non avrebbe dovuto far parte della Ue.
Restiamo allibiti dalle motivazioni di questa politica di guerra: il riarmo come fattore di deterrenza e di difesa della “patria”.Una tesi insopportabile, demagogica e medievale, nell’era della atomica e in un mondo pieno di strumenti di morte e di distruzione della civiltà, dove la sofferenza, la povertà e le morti per fame e sete riguardano metà della popolazione mondiale. La real-politik in guerra produce ipocrisia e chiude le menti, offusca la coscienza e rimuove la memoria storica.
La Cgil, in coerenza con le sue nette posizioni a sostegno del popolo ucraino, contro la violenta aggressione della Russia putiniana, contro la guerra e contro l’invio delle armi in Ucraina, dovrebbe oggi far sentire ancor più forte la sua voce contro l’aumento delle spese militari, contro il riarmo e l’aumento della fabbricazione e la vendita delle armi, rimettendo al centro del confronto con il governo le conseguenze sociali ed economiche della guerra e non solo.
Concretamente, se non sapremo dare continuità alla mobilitazione sindacale messa in campo con il giusto sciopero generale del 16 dicembre, questi costi da economia di guerra svuoteranno il solito granaio, e saranno scaricati, nel modo più classista e tradizionale, sui ceti popolari e sul mondo del lavoro con il taglio dello stato sociale e degli investimenti pubblici. Nel mondo interdipendente le conseguenze di una guerra, di tutte le guerre in corso, come delle sanzioni estreme si riverbereranno globalmente, per questo si debbono accompagnare gli aiuti umanitari ai profughi, tutti, con nuove politiche economiche e sociali europee e del governo italiano, di sostegno alla popolazione, al sistema Paese, per evitare ulteriori diseguaglianze, crisi sociali, economiche, industriali, energetiche e alimentari. E ambientali.
Occorre ripensare, costruire un possibile mondo di Pace multipolare e multiculturale. Se vuoi fermare la guerra e affermare la Pace devi armare le coscienze, avere una visione di futuro, investire nel progresso sociale, nell’eguaglianza dei diritti e delle possibilità. Una strada lunga ma obbligata.
Gli autori fanno parte del direttivo nazionale Cgil
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