Il respiro «epico» della fabbrica
Cinema 1969 L’intensa stagione di documentari in cui l’«operaio massa» della grande industria diventa eroe collettivo e punto di «riferimento» di tutta la società
Cinema 1969 L’intensa stagione di documentari in cui l’«operaio massa» della grande industria diventa eroe collettivo e punto di «riferimento» di tutta la società
A vederli tutti insieme (mi è capitato per ragioni di studio), i documentari italiani e la notevole documentazione filmica dei cineasti che si interessarono alle mobilitazioni del Sessantotto, del Sessantanove e degli anni immediatamente successivi, hanno un respiro «epico». Non solo per l’ampiezza dei sommovimenti politici, sociali e culturali di quella stagione, che le immagini ancora ci restituiscono, ma anche per gli schemi ideologico-narrativi ricorrenti, la dimensione «eroica» dei protagonisti, lo stile «formulare» tipico dei cantori di tradizione orale.
Dopo l’anno degli studenti, con il Sessantanove prende la ribalta la classe operaia, anzi l’«operaio massa» reclutato dalla grande industria, eroe collettivo di cui si «cantano» le lotte, ma anche riferimento «rivoluzionario» per tutte le altre categorie sociali che si attivano (dagli stessi studenti ai contadini, agli artisti). Il 1969, del resto, comincia con uno sciopero generale contro le gabbie salariali (9 gennaio); è percorso quasi ogni giorno da mobilitazioni nazionali e locali, occupazioni, assemblee, cortei, in moltissimi settori del lavoro; si chiude tragicamente il 12 dicembre con la strage di Piazza Fontana.
Le organizzazioni tradizionali della rappresentanza operaia, partiti e sindacati, si muovevano su una linea ormai consolidata di produzioni filmiche e di rapporti con il mondo del cinema, rinvigoriti dal protagonismo dal basso delle lotte. Il titolo più significativo in questo ambito è Contratto (1970) di Ugo Gregoretti, voluto da Bruno Trentin e prodotto da Fiom, Fim e Uilm. Raccontando l’Autunno caldo, il documentario riannoda i fili di un decennio di vertenze operaie, mettendone in evidenza i temi salienti, e in particolare quello dell’unità sindacale, di cui il film stesso è frutto. Oltre che raccontare la vertenza dei metalmeccanici negli ultimi mesi del 1969, il film è un’analisi del senso complessivo di quelle lotte, che evidenzia la maturità politica dei lavoratori e gli obiettivi non solo salariali, ma anche di una nuova partecipazione della classe operaia alla trasformazione della società italiana.
Una classe operaia giovane, spesso di origine meridionale, portatrice di pratiche antagoniste radicali e percorse da una diffusa creatività, che si esprime negli slogan, nei cartelli, nei materiali di propaganda. Contratto, del resto, è attento ai temi della comunicazione, essendo anche una risposta a stampa e televisione governativi, che trattavano le mobilitazioni come un problema di ordine pubblico. Da analoghe esigenze scaturì anche la serie di cinegiornali intitolata Terzo Canale, voluta dal Pci e prodotta dall’Unitelefilm. Il progetto, che tentava un’informazione alternativa ai due canali Rai, prevedeva la realizzazione di almeno un numero al mese (monografico o composto da più «servizi») di circa trenta minuti.
In tutto furono prodotti ventuno numeri, tra il 1968 e il 1970. La condizione operaia e la sua conflittualità vi hanno grande spazio (La fabbrica parla, n. 6, 1968 di Mario Carbone; L’autunno continua a primavera, n. 19, 1970, di Giuseppe Bellecca), insieme alle lotte contadine (Speciale Sud, n. 5, di Andrea Frezza), quelle per la casa, le manifestazioni studentesche, le mobilitazioni internazionaliste, oltre che i «servizi» dedicati ai leader del partito. Nell’ambito delle iniziative più indipendenti, da ricordare che anche i Cinegiornali liberi promossi da Cesare Zavattini si occuparono di lavoratori e fabbriche.
Tra questi, il titolo più noto è Apollon, una fabbrica occupata (1969) di Ugo Gregoretti, ricostruzione finzionale della lunga occupazione della tipografia Apollon a Roma, girata in fabbrica e interpretata dagli stessi operai. Battipaglia (1969) di Luigi Perelli e Paolo Poeti, fu invece girato a ridosso di una rivolta nella cittadina campana, dove il 9 aprile 1969, nel corso di uno sciopero contro la chiusura delle poche fabbriche del territorio, la polizia sparò e uccise due dimostranti.
Molte le imprese cinematografiche militanti. A Torino, il Collettivo cinema militante sostenne la realizzazione di alcuni film nati da iniziative di avanguardie operaie. Tra questi, Lotta alla Rhodiatoce (1969) del Comitato di lotta della fabbrica omonima è un «cine-documento» politico, in cui vengono utilizzati i materiali girati dagli stessi operai per ricostruire e analizzare la vertenza che portò all’occupazione del 4 marzo 1969, con l’obiettivo di fermare i livelli insostenibili di sfruttamento che l’azienda voleva imporre.
Dal «Gruppo Iniziativa per il film di intervento politico» dell’Anac, formatosi nel 1970, nacquero due titoli basati sulla collaborazione con collettivi operai: All’Alfa (1970) e Lotta di classe in Sardegna (1971). Il primo, realizzato ad Arese, presenta una notevole elaborazione formale. La grande azienda automobilistica è trattata come un caso esemplare dell’industria italiana in piena espansione: si nutre di immigrati meridionali e impone condizioni di estremo sfruttamento, visibile nelle sequenze, le più incisive, che mostrano la linea di montaggio delle scocche o la forgia, intorno alla quale penano operai sudati e neri di fumo.
La voice over è costruita con le testimonianze dirette dei lavoratori, talvolta rese davanti alla macchina da presa. Le canzoni di Jannacci, Del Re e altri accompagnano le immagini, in un controcanto di amara o gioiosa ironia. Le esperienze di collaborazione tra cineasti e comitati di lotta si ponevano spesso l’obiettivo di mettere fine alla separatezza tra artisti e operai, puntando alla creazione di circuiti alternativi di visione, oltre che alla realizzazione di film al servizio delle lotte. Su come fare, i dibatti erano accesi.
Con il rifluire dei momenti di più acuti delle mobilitazioni di massa, nel diverso clima politico e sociale aperto dalla strategia della tensione, i documentari diventano più analitici, di inchiesta o di denuncia. Ad esempio, 12 dicembre (1972), promosso da Lotta Continua per la regia di Ivan Bonfanti, cui collaborò anche Pier Paolo Pasolini, è un resoconto sullo stato delle lotte e della coscienza operaia nel clima repressivo conseguente alla strage di Piazza Fontana. Analisi del lavoro (1972) di Ansano Giannarelli, caratterizzato da una marcata cifra autoriale, parte dai materiali girati alla Sgs di Agrate per costruire «un film tutto di immagini sull’angoscia della catena di montaggio nell’industria elettronica». Al contempo, è una riflessione metalinguistica sul rapporto tra cinema e fabbrica, con un montaggio di grande forza espressiva, alla cui dimensione critica e parodica contribuisce potentemente il commento musicale di Vittorio Gelmetti.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento