Visioni

Il respiro della vita fra messa in scena e realtà

Il respiro della vita fra messa in scena e realtà

Festival A FidMarseille 2019 il restauro di «Beau temps mais orageux en fin de journée» (1985) di Gèrard Frot-Coutaz

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 13 luglio 2019

Nel cielo blu della città provenzale il mistral passa ancora leggero. Marsiglia, estate, i turisti riempono le strade del centro, il vecchio porto, i vicoli del Panier, il quartiere antico che fino a qualche anno fa era considerato «a rischio» sono adesso affollati di negozietti, caffé, nuovi ristoranti appaiono da un momento all’altro. È la gentrificazione! – E tu non puoi farci niente, niente… Già. Gli effetti si vedono nei lavori in corso, nei progetti di «riqualificazione» che (quasi) sempre coincidono con la trasformazione dei luoghi in rapporto alla ricchezza degli abitanti, nel maquillage di lustro che nasconde le questioni complesse.

PERÒ MARSIGLIA, almeno per ora, resiste nella sua miscela di «alto»/«basso», di strati che come in una sfogliatella (napoletana) sono tutti ancora assieme. Tra questi c’è il Fid, il Festival del documentario, che nel suo trentesimo compleanno ha abbandonato il polo della Villa Méditerranée – chiusa per lavori – tornando alle «origini»: la Canèbiere con la multisala Les Variétés finalmente rinnovata – e molto bene – e la Cours Julienne dove è nata la Baleine, una nuova sala molto accogliente e di alta qualità – con bistrot e bar – bella scommessa di Thomas Ordonneau , produttore e distributore con Shellac decisamente controcorrente rispetto a quanto si dice sulla «crisi del cinema».

CHE EDIZIONE è questa 2019 sempre con la direzione (e l’impronta riconoscibile) di Jean Pierre Rehm? Come tutti i festival anche il Fid nel tempo si è trovato a rispondere alle trasformazioni dell’immagine – e dell’immaginario – una esigenza ancor più complicata in una manifestazione nata come laboratorio privilegiato per quelle immagini di confine, fuori dai generi, e sulla rivendicazione di un’indipendenza e di una ricerca caratterizzate da una forte identità di intenti. Il rischio è cadere nell’accademismo, o rimanere intrappolati nelle proprie istanze, qualcosa che negli ultimi anni è purtroppo accaduto nella selezione, insieme alla perdita di una rilassatezza – forse il cartellone troppo pieno? – e di quell’atmosfera «amicale» che per un festival più piccolo dovrebbe essere un punto di forza, il primo da opporre al modello «macchina espansa» dei grandi festival.

Beau temps mais orageux en fin de journée – Bel tempo ma tempeste a fine giornata – è una di quelle frasi che risuonano nella conversazione: parlare del tempo (meterologico) quando non c’è altro da dire, agghiacciante e paradossale insieme. Gèrard Frot-Coutaz l’ha scelta come titolo per il suo film, presentato in una delle sezioni parallele nella copia restaurata e in distribuzione grazie a La Traverse. Un capolavoro di racconto umano in cui con una «grazia» rara scorrono la vita e la sua messinscena, il quotidiano assurdo dei luoghi comuni e l’unicità crudele del caso. Ma chi è Gerard Frot-Coutaz? Beau temps mais orageux en fin de journée (1985) è il suo primo lungometraggio che segue a diversi corti e a prove d’attore in due film di Paul Vecchiali, (La Machine e En haut des marches) il quale, a sua volta, di Beau temps è uno dei montatori (insieme Franck Mathieu) e il produttore con Diagonale ovvero una delle esperienze più importanti del cinema francese, qualcosa di più di una società di produzione, un’avventura e una scelta di vita, morale, estetica perché come dice il suo fondatore, Vecchiali, «L’economia è lo stile».

L’idea era quella di creare una struttura libera, in cui i registi condividevano la stessa troupe e lo stesso gruppo di attori, si scambiavano i ruoli – montaggio, produzione, recitazione – impegnandosi a girare in fretta e a non sforare mai il budget stabilito. Il gruppo Diagonale riuniva Jean Claude Biette (Le théâtre des matières), Guiguet (Les Belles Manières), Noël Simsolo (Cauchemar), Marie-Claude Treilhou (Simone Barbès ou la vertu), attori come Françoise Lebrun, Michel Delahaye, Tony Marshall, Sonia Saviange, Hélène Surgère, Jean-Christophe Bouvet, Paulette Bouvet, Micheline Presle.

C’è un’impronta, un segno di riconoscimento, un sentimento comune? Senz’altro quello di un’utopia del desiderio, che attraversa le immagini di Frot-Coutaz. Una coppia – Micheline Presle e Claude Pieplu – a Ménilmontant nella loro casa di una piccola borghesia, lei depressa, gli anni che hanno trasformato l’abitudine in astio, i silenzi in rimproveri, il malessere di pillole e insonnia in usura dei sentimenti. Un giorno il figlio telefona, sta arrivando con un’amica, i genitori la madre specialmente si agitano: litigano, si insultano, si feriscono crudelmente, si aggrappano l’uno all’altra nello strano bisogno che è l’abitudine.

PERCHÉ è lì il ragazzo? Vuole soldi? No, vuole dire che sta per sposarsi ma non riesce, troppo malessere, troppi non detti, la Madre amata e insieme ingombrante, fantasia e incubo, dolcezza e disgusto. Ma anche la sua coppia, appena nata, vacilla, si scontra con la realtà, con le sue tempeste annunciate eppure impreviste, col fantasma del rito quotidiano, di un pollo troppo cotto che nell’altra – i due genitori – diviene oltraggio.

FROT-COUTAZ lavora su un campo e controcampo nell’immagine e nel racconto per creare una distanza che gli permette di catturare il respiro della vita senza isterismi né retorica. Tutto è là, la commedia umana e la tragedia, e al tempo stesso tutto è messo in scena, teatro di una giornata che sconfina nella realtà. Si può raccontare l’amore con tanta lucidità? Se ne possono cogliere la tristezza e il bisogno inspiegabile, le capriole e il movimento lungo l’esistenza? Ciò che è, ciò che è stato, i rimpianti, la calma del presente nonostante tutto.

Beau temps mais orageux en fin de journée è un film senza tempo come il desiderio, ed è un film che restituisce una femminilità calpestata, quella di Jacqueline (Presle), donna depressa dopo la pensione – era insegnante – e a disagio nel corpo che non riconosce più, ingrassato, senza bellezza, che si sente respinto dal marito incapace di accettare i suoi sbalzi di umore. Non è così comune al cinema vedere un personaggio come questo, reso con amore anche quando è detestabile. Frot-Coutaz è morto nel 1992, a quarant’anni, di Aids, questo film è una scoperta e una zona di resistenza.

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