Il respiro della vita dentro gli intrecci umani e non
ITINERARI CRITICI / 2 «Gli sciamani non ci salveranno», dell’antropologo Stefano De Matteis (Elèuthera)
ITINERARI CRITICI / 2 «Gli sciamani non ci salveranno», dell’antropologo Stefano De Matteis (Elèuthera)
Parte da una constatazione e da un cortocircuito l’ultimo libro di Stefano De Matteis, Gli sciamani non ci salveranno (Elèuthera, pp. 171, euro 18). La constatazione è che oggi «gli sciamani sono all’ordine del giorno», risultato dello stato del clima ai tempi del neoliberismo più sfrenato, violento e distruttivo che mai si sia registrato.
Il cortocircuito è quello innescato dalla contrapposizione tra le figure di Davi Kopenawa (noto «sciamano indigeno, istituzionalmente riconosciuto come portavoce dell’Amazzonia» e che «combatte per la salvezza dell’intero pianeta») e Jake Angeli (lo sciamano fake che ha guidato i sostenitori di Trump all’assalto del Campidoglio il 6 gennaio 2021 e che mette assieme «un melting pot di idee, fedi e credenze», in cui complottismo e irrazionalismo si legano in una miscela a dir poco reazionaria ed esplosiva).
MA PERCHÉ GLI SCIAMANI sono all’ordine del giorno? Per una serie di fattori, sostiene l’antropologo romano, che costituiscono quello che potremmo chiamare il disagio del presente («continua accelerazione tecnologica», «mancanza di mutamenti sociali significativi» e «tragici cambiamenti climatici»), disagio che «ha prodotto un effetto collaterale imprevisto»: «numerose forme di contromodernità», fatte di «una reincarnazione nel presente di tematiche reputate, presentate o travestite da arcaico».
Dopo aver fornito questa cornice teorica, De Matteis si impegna in una ricerca etnografica su chi in Italia offre o si avvale di iniziative «sciamaniche», al contempo tradizionali e alternative, iniziative che, mescolando «con grande noncuranza l’astrologia con le rune, l’alchimia con gli UFO, i tarocchi con la cristalloterapia…», propongono un ripiegamento depoliticizzante su un sé individualistico e misterioso al fine di poter ottenere una tanto fantomatica quanto imprecisata «guarigione interiore».
«Ciò naturalmente non interviene in alcun modo sui sistemi di vita, non crea discussione e teoria, non apre alla condivisione e non innesca conflitti, ma favorisce l’adattamento».
A QUESTO DESIDERIO di evadere dal mondo invece che di provare a cambiarlo, l’autore oppone la propria visione che prova a far leva su altri due saggi, Black Elk e Tamati Ranapiri. Dopo averli sottratti all’appropriazione materiale e simbolica da parte dell’Occidente, l’autore «distilla», soprattutto a partire dal secondo, un messaggio squisitamente politico, in grado di unire impegno ecologico e impegno sociale: dobbiamo impegnarci «a sostenere il potere di accrescimento della natura, educarci collettivamente a proteggerlo, rispettarlo e alimentarlo» e a modificare radicalmente l’attuale assetto economico perché «non è previsto arricchimento a spese altrui». In breve, per muoversi in direzione del «respiro della vita», intesa «non come soggettività che si accartoccia su se stessa, ma come catena di relazioni complessiva dentro un universo di legami che si intrecciano con tanti altri, che convivono con noi e che ci sono intorno. Umani e non».
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