Il Regno ora è un po’ meno unito
Scozia Con il 55,3% di «no», la secessione è per ora scongiurata. Decisivo il voto femminile. Ma gli effetti del referendum saranno comunque devastanti. L’affluenza superiore all’84% segna un risveglio politico senza precedenti nelle città scozzesi. Il premier Salmond ringrazia e si dimette
Scozia Con il 55,3% di «no», la secessione è per ora scongiurata. Decisivo il voto femminile. Ma gli effetti del referendum saranno comunque devastanti. L’affluenza superiore all’84% segna un risveglio politico senza precedenti nelle città scozzesi. Il premier Salmond ringrazia e si dimette
Il Regno Unito non sarà più lo stesso. Tristi e delusi i sostenitori dell’indipendenza scozzese hanno lasciato seggi e assembramenti della campagna del «sì» dopo l’annuncio della sconfitta al referendum sul divorzio da Londra (55,3 a 44,7 per i «no» alla secessione). Ma gli effetti del voto di giovedì sono devastanti. Prima di tutto il referendum ha segnato un risveglio politico delle città scozzesi senza precedenti, con un’affluenza alle urne superiore all’84%, che non si vedeva dal 1928. Minacciata nei meccanismi centrali per il funzionamento dello Stato, la Gran Bretagna ha così reagito per frenare le sfide indipendentiste le cui implicazioni (uscita della Scozia dalla Ue e dalla Nato) avevano fatto tremare le gambe dell’élite politica di Westminster, almeno nei giorni in cui i sondaggi sembravano dare ragione al nazionalista visionario Alex Salmond.
Il temuto collasso dello Stato è scongiurato. E così nella serata di ieri dai quartieri della working class londinese, dai dormitori per migranti di Upton Park fino alle ville di South Kengsington, milioni di inglesi sono rimasti incollati agli schermi televisivi, tendendo un orecchio distratto ai risultati del referendum. E la Bbc ha fatto la sua parte, martellando gli inglesi con i rischi di una roadmap per la secessione, rivolta al 2020 (dalla formazione graduale di un esercito e di un’aviazione scozzese fino ai negoziati per una nuova moneta), dipingendo un quadro di certo scoraggiante, anche per i critici più motivati dello status quo, che ha di sicuro influito sugli indecisi della ultima ora.
Da oggi però la Gran Bretagna è un vero laboratorio per le richieste di indipendenza delle quattro nazioni che la compongono. «Al prossimo referendum per la secessione vinceremo», ha commentato immediatamente una giovane scozzese dei Radicali per la secessione. Tuttavia, stride non poco con le speranze di questo elettorato, la tristezza del premier scozzese Salmond che ha fatto del referendum per l’indipendenza la battaglia della sua vita. Il protagonista della campagna per il «sì» all’indipendenza non ci ha pensato due volte a tirare le somme della sconfitta sulla carta. Ha così rassegnato le dimissioni da capo del governo scozzese e da leader dei nazionalisti (Snp), lasciando senza parole i separatisti. «I veri guardiani del progresso non sono i politici di Westminster o quelli di Holyrood (sede del parlamento scozzese, ndr), ma l’energico attivismo di decine di migliaia di persone che si rifiuteranno di tornare nell’ombra della politica», ha dichiarato mestamente Salmond, assicurando che non promuoverà in futuro un nuovo referendum. Eppure i bookmaker scozzesi non concordano e hanno pronosticato che il prossimo referendum per l’indipendenza si terrà entro 35 anni.
Dai risultati definitivi emerge che a tenere unita l’Unione è stato il voto femminile. Le donne scozzesi sono state le più motivate sostenitrici dell’integrità territoriale dello Stato. A votare in massa per l’indipendenza ci sono poi gli elettori della roccaforte nazionalista di Dundee che hanno chiesto la secessione con il 57% dei «sì», Glasgow con il 53, insieme a West Durbantorshire e North Lanarkshire.
La campagna per il «sì» aveva ottenuto un sostegno incredibile nell’elettorato maschile e tra i giovani scozzesi, erodendo soprattutto la base elettorale laburista. Molti hanno gridato al voto di protesta della working class contro l’austerità estrema e le politiche neo-liberiste approvate senza freni da Londra. E così, secondo alcune proiezioni, il 42% degli elettori laburisti nel 2010 ha preferito oggi l’indipendenza, promossa dai nazionalisti. Proprio Ed Miliband, duramente contestato in un comizio alla vigilia del voto a Edimburgo, dovrà ascoltare senza preclusioni le richieste che, con questo voto di protesta di milioni di scozzesi, è venuto dalle classi disagiate contro una politica di centro-sinistra eccessivamente appiattita sulle posizioni conservatrici. «Sappiamo che il nostro paese deve cambiare il modo in cui è governato e chi lo governa. Ci impegneremo per una Scozia più forte», ha detto Miliband commentando i risultati.
Ma quando lo Stato è costretto a prove di forza come quella assicurata dalla coalizione che va dal trio Tory-Labour-LibDem ai media, dai businessmen inglesi al governo Usa, dalla Nato all’Unione europea, non è mai un segno di buona salute. E il giorno dopo è anche l’ora di valutare le conseguenze della «Devolution Revolution», promessa alla vigilia del voto dal premier David Cameron. I termini della nuova estensione delle autonomie locali non sono ancora chiari, ma già arrivano le defezioni agli accordi bipartisan della vigilia. Se Miliband non è intenzionato a sottoscrivere il piano di devolution di Cameron, dopo il referendum scozzese, il leader degli euro-scettici dell’Ukip Nigel Farage chiede una convenzione costituzionale per la promessa riforma delle istituzioni centrali. A ricordare che non si torna indietro ci hanno pensato anche i premier di Galles e Irlanda del Nord. «Il Regno Unito come lo conosciamo è morto», ha dichiarato ieri il laburista Carwyn Jones. E così una devolution rinforzata apre la strada alla decennale questione sulle funzioni della House of Lords in caso di federalismo spinto e delle prerogative dei parlamentari inglesi.
La giornata del voto resterà impressa per anni nelle menti degli abitanti di Glasgow ed Edimburgo. I cieli tersi delle città scozzesi risuonano delle zampogne e ricorrono ovunque i colori delle bandiere blu e bianche di una Scozia indipendente che deve ancora attendere. «Da decenni non si vedevano code fuori dai seggi come quelle di ieri», ci racconta con mestizia il reporter e sostenitore del «sì» Robin McAlpine. Il referendum non si è concluso senza violenze. La polizia scozzese ha aperto un’indagine su presunti brogli a Glasgow. Mentre due consiglieri laburisti del parlamento locale, e sostenitori del «no», sono stati aggrediti all’uscita dai seggi. Anche il tennista scozzese Andy Murray, che all’ultimo momento si è schierato per l’indipendenza, ha denunciato di aver subito minacce. Eppure da ieri la Scozia festeggia almeno un altro successo: il voto dei golfisti di St. Andrews, rigorosamente solo uomini, che per la prima volta, dopo 260 anni, accetteranno membri donne.
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