Il senso comune suggerisce che, a volte, un aneddoto si riveli più eloquente di centinaia di pagine in cui campeggiano raffinatissime analisi filosofiche.
Sarà per questo che, a leggere il nuovo libro di Gianni Vattimo e Santiago Zabala (Comunismo ermeneutico. Da Heidegger a Marx, Garzanti, pp.181, euro 22), torna alla mente l’episodio di Marx con la signora Kugelmann, la moglie del noto ginecologo che ospitò il filosofo a casa sua, per alcuni mesi, dopo che aveva ultimato la stesura del primo libro del Capitale.

Trovandosi tutti insieme a tavola, si narra che un ospite avesse punzecchiato la «vecchia Talpa» provocandolo con una domanda su chi avrebbe lucidato le scarpe nella società comunista. «Lei, naturalmente!», lo fulminò Marx.
La signora Kugelmann, per stemperare il clima, commentò scherzosamente che non riusciva a immaginarsi Marx in una società veramente egualitaria, visti i suoi gusti e le sue abitudini così aristocratici. «Nemmeno io», fu la risposta del filosofo tedesco, «quell’epoca verrà ma noi non ci saremo più!». Ne parliamo con Gianni Vattimo.
Nel libro viene proposta un «comunismo ermeneutico» come derivazione del socialismo bolivariano. Chávez e il Venezuela eredi di Castro e Cuba, insomma… Ma è realistico?
Il richiamo ai latinoamericani, anche se non si limita alla dedica del libro, non è però l’indicazione di un modello politico che si voglia applicare alle nostre condizioni europee. È piuttosto una semplice allusione alla possibilità, oggi, di un ordine diverso da quello capitalistico ed euro-atlantico. Come a dire: guardate che un mondo diverso è possibile, si è realizzato e si sta ancora realizzando là dove non sembrava potersi trovare. Se vuoi, è una specie di preoccupazione «realistica» quella che cerchiamo di esprimere con quei richiami. E non solo: che esista e si consolidi un socialismo latinoamericano è decisivo per noi anche a livello mondiale. Solo se appare sulla scena un complesso di paesi anticapitalistici che bilancino, anche in sede di Onu, il potere delle multinazionali ancora sempre basate nell’Occidente «atlantico», è verosimile che l’Europa si scuota di dosso il dominio euro-americano-bancario che la soffoca.

Le «misiones» instaurate da Chávez (gruppi di cittadini volontari che affiancano l’amministrazione pubblica in settori nevralgici, «ndr»), che hanno entusiasmato personalità come Chomsky e Oliver Stone, sembrano raccontare di una partecipazione popolare fattiva, ben al di là dei miti populistici dei nostri lidi. Dei Soviet del XXI secolo?
Le misiones ci sembrano fenomeni esemplari perché sono il modo in cui Chávez ha realizzato una profonda trasformazione dello stato, senza scatenare una lotta sanguinosa contro le vecchie burocrazie: ha loro affiancato, come ausilio, stimolo, forse anche forma di controllo, una sorta di «brigate» popolari. Direi persino che era lo scopo che si prefiggeva la «rivoluzione culturale» cinese, comunque sia poi finita. E molto più semplicemente offrono l’esempio di una possibile partecipazione democratica al governo di un paese che non si riduca ad andare alle urne una volta ogni cinque anni. È vero che in paesi come il Venezuela o altre nazioni latinoamericane ci sono tradizioni comunitarie diverse e più vive che da noi. Dunque, l’esempio delle misiones o di forme di partecipazione simili deve essere considerato con prudenza e consapevolezza delle differenze. Ma non possiamo negare che anche qui c’è qualche suggestione valida per la nostra democrazia così asfittica.
Il vostro «comunismo ermeneutico» nasce da una filosofia antirealista che non vuole fondarsi sulla «verità dei fatti». Perché, scrivete, questa presunta realtà è manipolata dai media del mainstream, vero oppio dei popoli della nostra epoca. Siamo di fronte a una nuova applicazione del «pensiero debole»?
L’attributo «ermeneutico» che accompagna il comunismo nel titolo del libro ha anzitutto il senso di togliere l’illusione e la pretesa del socialismo «scientifico». Non crediamo affatto che l’economia marxista sia scientificamente migliore di quella borghese del capitalismo, anche perché la stessa idea di una economia politica come «scienza» con gli attributi di oggettività e di sperimentalità, che una scienza moderna dovrebbe avere, è già un mostro ideologico. Questo lo sapeva bene anche Marx. Il quale però continuava a coltivare l’idea positivistica, sostanzialmente, che la sua dottrina, almeno come filosofia della storia, avesse una qualche corrispondenza con la realtà del mondo. Ma essendo un hegeliano, sia pure con i piedi per terra, non poteva vederla davvero in questo modo. Che solo il proletariato espropriato, secondo lui, potesse cogliere e attuare il vero senso della storia mostra che anche lui stava più dalla parte dell’ermeneutica che da quella del «realismo» vecchio o nuovo. E, in definitiva, è vero che il comunismo ermeneutico è una declinazione politica del pensiero debole: non ci sono fatti, solo interpretazioni, secondo la più scandalosa affermazione di Nietzsche, per il quale però «anche questa è un’interpretazione».
Marx e Heidegger sono i teorici ispiratori della vostra proposta. Ma il primo era un razionalista dell’oggettività e per nulla un ermeneuta. Il secondo, in compenso, riprendeva l’empito aristocratico già proprio di Nietzsche. Come conciliarli in un progetto realisticamente innovativo?
I nostri filosofi di riferimento, non solo Marx e Heidegger ma anche Nietzsche, Rorty, e Schürmann, sono figure da «interpretare». Lasciamo qui da parte Marx, ma certo Nietzsche e Heidegger sono personaggi conflittuali che noi riprendiamo consapevoli delle loro problematicità. Entrambi hanno un peso decisivo in quanto teorici della modernità come avvento del nichilismo.
La storia del nichilismo come processo di dissoluzione progressiva della «oggettività» a favore di un mondo sempre più inestricabile dai soggetti, individui e gruppi, che lo abitano, lo trasformano e lo manipolano – in altre parole: che lo interpretano – per il quale è la sola filosofia della storia capace di sostenere il nostro «comunismo ermeneutico». Sia Nietzsche, sia Heidegger, sono letti qui in contrasto con la vulgata, che fa dell’uno un antesignano del nazismo e dell’altro, nel migliore dei casi, un fumoso mistico convinto di ascoltare la voce dell’Essere. Naturalmente, leggiamo l’uno e l’altro senza alcuna pretesa di oggettività storiografica, neanche le loro opere sono «fatti». Il progetto che perseguiamo con questo lavoro teorico del resto, non chiede certo di essere discusso come una proposta storiografica.
Due radici europee, insomma, per proporre un comunismo ermeneutico che sembra rivolgersi a terre lontane (il Sudamerica), rispetto alle quali noi sembriamo quella civiltà al tramonto paventata da Heidegger. È così?
Dici che guardiamo a terre lontane, come se fossimo coscienti di trovarci in una civiltà al tramonto? Occidente, Abend-land..? Questo Occidente non sembra affatto rassegnato a tramontare, anzi diventa sempre più aggressivo. Ma certo, dato quel che è stato e che è diventato finora, sembra un ragionevole segno di vitalità cercare la salvezza fuori di esso. Aspettando i barbari?