Il nome di Marcelo Figueras è noto, in Italia, solo ai cinefili più accaniti, quelli che lo conoscono come sceneggiatore di Plata Quemada, Rosario Tijeras o Las viudas de los jueves, film tratti dagli omonimi romanzi di Ricardo Piglia, Jorge Franco e Claudia Piñeiro. E qualcuno, forse, avrà avuto la fortuna di vedere il più che notevole Kamchatka, fuggevolmente distribuito in qualche cinema italiano nel 2004 e realizzato da Marcelo Piñeyro su soggetto e sceneggiatura dello stesso Figueras, che in seguito ne ha ricavato un romanzo, oggi in corso di traduzione per l’editore L’asino d’oro (un libro da non perdere, quando uscirà). Perché Figueras, nato a Buenos Aires nel 1962, è anche uno scrittore interessante e originale, autore di cinque romanzi pubblicati da editori importanti, come Alfaguara e Planeta e tradotti in vari paesi.
Proprio il primo di questi romanzi, uscito nel 1992, mai tradotto in italiano e intitolato El muchacho peronista, sembra confermare una volta di più quanto ha scritto un decennio fa Tomás Eloy Martinez: «Nella poesia, nel teatro e soprattutto nei romanzi è possibile scoprire i modelli di realtà che si avvicinano e che ancora non sono stati formulati in modo cosciente».
Presagi e imprevisti lampi di futuro si annidano «nelle pieghe segrete della letteratura», e Figueras ce ne ha regalati alcuni raccontando, undici anni fa, la storia di un ragazzo che, esattamente come Jorge Bergoglio (ormai più noto come Francesco I), nasce a Flores, quartiere popolare di Buenos Aires dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza, frequenta il seminario di Villa Devoto, diventa il pupillo dell’arcivescovo bonaerense e, infine, viene scelto come primo papa argentino della storia. Il tutto reso ancora più intrigante da un titolo, El muchacho peronista, che oggi non può non rimandare alla definizione di «papa peronista» apparsa su molti giornali argentini: al di là dei rapporti notoriamente non facili tra il cardinale Bergoglio e il kirchnerismo, si è molto parlato, infatti, di una sua presunta vicinanza giovanile alla «Guardia de hierro» (un gruppo di fedelissimi di Perón, poi disciolto alla sua morte), mentre Emilio Pérsico, l’attuale segretario generale del «Movimiento Evita», non ha esitato a dichiarare in più occasioni, forse per l’ansia di annettere al justicialismo un personaggio così importante, che «Bergoglio es peronista, es un compañero».
Bisogna dire, però, che nell’opera prima di Figueras le coincidenze con la biografia papale, numerose quanto del tutto involontarie, sono ampiamente superate dalle differenze. El muchacho peronista è infatti una sorta di romanzo criminale dalle coloriture picaresche, e la formazione del suo protagonista, Roberto Calabert, che a tredici anni fugge da una casa piena di donne per andare in cerca di avventure e di gloria, è affidata a un gangster polacco incontrato per caso, che sarà per lui un padre brutale e gli insegnerà tutto quello che bisogna sapere per sopravvivere e soprattutto per vincere.
La vicenda del ragazzo di Flores si intreccerà poi con la Storia, grazie all’apparizione della figura materna e affettuosa di Aurelia «Potota» Tizón, prima moglie di Perón, e quindi attraverso l’incontro con il generale in persona, non ancora entrato in politica: un Perón deluso e frustrato che nel 1938 Roberto uccide con un colpo di pistola in un postribolo di Junín, cambiando la storia argentina. Un delitto senza castigo, il punto più basso di una caduta che, dal momento dell’ingresso in seminario, non tarda a trasformarsi in ascesa, fino a concludersi con l’arrivo in Vaticano di un papa dall’animo nero, opportunista, amorale, carico di segreti…
Solo letteratura, ci tiene a dire oggi Figueras, nelle interviste ai giornali che dopo l’elezione del nuovo papa si sono ricordati di quel suo romanzo d’esordio, nato in primo luogo dal desiderio di cambiare e riscrivere la Storia, creando una realtà ucronica: un esercizio, dice l’autore di El muchacho peronista, cui non è estranea la stessa Chiesa argentina. In un articolo sul quotidiano Pagina/12 che ricostruisce le origini e il senso della sua narrazione almeno in parte «profetica», lo scrittore ne parla come di un prequel perverso della dittatura degli anni ’70, che invece di spiegarne le origini e le cause vorrebbe cancellarne l’esistenza, e non a caso conclude: «Che cosa hanno fatto le gerarchie della Chiesa cattolica negli ultimi decenni (il plurale è deliberato, perché anche le grandi congregazioni, per esempio i gesuiti, hanno le loro responsabilità) se non cercare di smentire, negare, riscrivere il ruolo che hanno assunto in quel periodo tragico?».