Cultura

Il racconto panico di un «gardian» e gli occhi infuocati di un fauno

Il racconto panico di un «gardian» e gli occhi infuocati di un faunoJoseph d’Arbaud

SCAFFALE «La Bestia del Vacarés», di Joseph d’Arbaud per le edizioni La Noce d’Oro

Pubblicato più di un anno faEdizione del 15 marzo 2023

«Nel nome del Padre, del Figlio e dello spirito Santo. Oggi, 11 del mese di aprile e Santa Domenica di Pasqua nell’anno 1417, io Jaume Roubaud» – scrive un capo guardiano di tori selvaggi della Camargue – «ho iniziato a vergare questo manoscritto». Recuperando un consumato topos letterario, ha così inizio la trascrizione-traduzione ad opera di un aristocratico terriero – ed è facile intravedervi l’autore stesso – dell’antico e misterioso diario ereditato nel 1912 da un suo capo gardian, insieme al compito di preservarne la memoria per i futuri lettori. È ad essi infatti, dopo la suggestiva preghiera del mandriano, che il trascrittore si rivolge nella breve avvertenza – unico spazio concesso alla sua voce –, affermando di aver «rimaneggiato questo testo il più fedelmente possibile», ma anche di aver dovuto «spesso adattarlo, quasi tradurlo, per rendere comprensibile uno spettacolare miscuglio di franchimand, provenzale e povero latinorum».

LE CENTO PAGINE seguenti, datate all’inizio e alla fine come una sorta di cornice, sono tutte dedicate al racconto del rapporto tra uomo e natura che costituisce La Bestia del Vacarés, capolavoro di Joseph d’Arbaud (edito da La Noce d’Oro, pp. 139, euro 16) pubblicato per la prima volta in occitanico e francese nel 1926 e che oggi possiamo finalmente leggere in italiano nella traduzione di Rosella Pellerino, di lingua occitana per linea materna e direttrice scientifica dell’associazione Espaci Occitan di Dronero, nata nel 1999 per la divulgazione e l’insegnamento di questa «lingua minoritaria».

Joseph d’Arbaud, poeta e scrittore provenzale vissuto tra il 1874 e il 1950, pur agiato aristocratico cittadino volle, da allievo di Mistral, vivere l’esperienza dura e per molti aspetti già mitica di mandriano nella Camargue: è proprio in questo ambiente battuto dai primi venti della modernità futurista, retrodatato ad un XV secolo fuori dal tempo, che si dipana il racconto panico di un gardian e della bestia-uomo incontrata per caso nelle paludi malsane del delta del Rodano e poi inseguita ben oltre la fine del diario, con paura mista a pietà e sorprendente nostalgia di quegli occhi infuocati di fauno morente che rappresentano, allegoricamente, la fine di un’epoca. L’ultimo semidio, ormai vecchio e rinsecchito dalla mancanza di cibo e di relazioni, parla sentenziosamente e interroga l’incredulo e tormentato mandriano sulla nobiltà «dei riti umani più vulnerabili» che l’uomo, per inconsapevole istinto, riproduce e sulle azioni di cui non può «valutare la grandezza» .

Sullo sfondo di tutto il «diario» aleggia il timore del castigo della Santa Inquisizione, qui rappresentata dall’Abbazia che può dargli vita e morte nutrendo il suo corpo con rifornimenti quindicinali (da cui il solitario gardian trae i frutti che a più riprese cerca di condividere pietosamente con l’affamata Bestia), ma torturando la sua anima, avvelenata da una visione che non potrebbe essere confidata neppure al fratello senza evocare il demonio e per questo taciuta.

LA PUNIZIONE ecclesiastica bramata come espiazione non si realizzerà e la confessione mancata sarà affidata solo alle pagine del manoscritto, rimasto aperto sulla ricerca «senza scoramento né fatica» di un essere che suscita «un timore, una fratellanza, un mistero; un rimpianto, anche un rimpianto».
La prefazione a questo volume è firmata da Monica Longobardi, che ha recentemente rinnovato l’interesse per la letteratura otto-novecentesca occitanica con i suoi Viaggio in Occitania (Virtuosa-Mente, 2019) e la corposa traduzione-saggio del poliziesco di Joan Ganhaire Voi che mi avete uccisa (Virtuosa-Mente, 2021).
Del resto la versione italiana de La Bestia del Vacarés batte la strada aperta pioneristicamente da Fausta Garavini prima e dalla stessa Longobardi poi, che presso l’Università di Ferrara aveva fondato, unico in Italia, il corso di Letteratura occitanica contemporanea, dando nuova linfa agli studi filologici romanzi limitati al solo Medioevo. È auspicabile che il corso, attualmente interrotto dopo il pensionamento della studiosa, sia riaperto, per non disperdere le preziose competenze linguistiche e culturali sedimentate negli ultimi anni.

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