Visioni

Il racconto inquieto di una generazione al femminile

Il racconto inquieto di una generazione al femminileSofia Coppola – foto Ansa

Libri «Sofia Coppola: Forever Young» disegna una mappa dell’immaginario della regista. Curato da Hannah Strong, il libro (Il Saggiatore) narra un cinema al presente, un luogo dell’anima

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 13 settembre 2024

Bianca, ricca e privilegiata, anche così, in maniera molto schematica e rude potrebbe essere semplicemente definita Sofia Coppola e con lei anche il suo cinema che spesso ha parlato di bianchi, ricchi e privilegiati, del nostro secolo come della corte di Francia. Questo punto di partenza, chiaramente molto arbitrario indica però un possibilità e un’unicità che appartiene fortemente a Sofia Coppola: la consapevolezza di un ruolo e di una posizione subito seguita dalla capacità di mostrare di quel gruppo ristretto di persone (in grado d’influenzare la società e determinarne i movimenti globali) l’estasi e l’orrore. Uno sguardo il suo tutt’altro che superficiale e tutt’altro che ristretto, una dote senso di autoanalisi che impressiona sulla pellicola una visione critica e al tempo stesso solidale, che mostra senza giustificare.

Sofia Coppola è riuscita a cogliere il lato ingenuo e delicato di una società occidentale ricca e prospera, ma sempre più vecchia e depressa, logora e stanca. E Sofia Coppola: Forever Young (Il Saggiatore, nella bella traduzione di Sara Reggiani) della giornalista cinematografica Hannah Strong coglie alla perfezione le peculiarità di una regista, tra le poche della sua generazione, che sa offrire non solo uno stile estetico e narrativo totalmente originale ma un’essenza autoriale sempre più rara. Il bellissimo volume che Il Saggiatore presenta con un’accecante copertina a specchio – che già molto dice di quella forma di auto rappresentazione deformante del sé di cui è fatto il cinema di Coppola – racconta la carriera della regista partendo fortemente dal punto di vista di Hannah Strong quale giovane donna e poi ovviamente spettatrice e critica cinematografica.

UN COINVOLGIMENTO dichiarato, racchiuso in un percorso biografico che si rispecchia fortemente nel cinema di Coppola a partire da Il giardino delle vergini suicide (1999). Il film oltre a prefigurare l’imminente fine secolo ritrae per la prima volta i corpi e lo stato emotivo di una generazione femminile offrendo uno specchio in cui ritrovarsi. In qualche modo – anche se indirettamente – Coppola apre la via tra le altre a Greta Gerwig come a Sally Rooney e a Ottessa Moshfegh. Un immaginario che s’impone e si amplia ancora di più con Lost in Translation (2003) – con l’indimenticabile Bill Murray che proprio in quel film darà corpo a un secondo tempo vivissimo della sua carriera. E con Marie Antoinette (2006). Pellicole che vanno oltre il loro valore strettamente cinematografico apparendo quali oggetti culturali per alcuni versi indefiniti, e per altri capaci di bucare e impressionare il pubblico dando forma a fenomeni di costume in grado di svelare tendenze sociali e tensioni sentimentali.

Il volume non si limita a catalogare la produzione della regista, ma con un mirabile equilibrio offre all’interno di un apparato fotografico ricchissimo molteplici livelli di lettura. Non si tratta in sostanza di ripercorrere la carriera di un’ancora giovane artista, ma di trovare e individuare quei nodi che le hanno permesso di aprire un vero e proprio dialogo con il pubblico nella forza di un racconto condiviso. Una generazione di spettatrici e spettatori è cresciuta guardando i suoi film e di conseguenza rispecchiandosi (per tornare alla copertina scelta da Marica Fasoli) in un moto dell’anima inquieto che rifiuta ogni forma di stanca nostalgia.

UN CINEMA che resiste ostinatamente al presente costruendo legami profondi compartecipazione conchi lo guarda. . Un’accompagnarsi esistenziale che non nega la paura per il futuro, e dà spazio a una forma di sottile felicità, nonostante il rischio e l’altissima probabilità che proprio questo tipo di felicità sia solo il preludio per l’ennesimo e imminente abbandono.
Il volume si chiude con una serie di interviste che tengono il filo alla filmografia di Coppola e ai suoi temi. E a completare c’è anche una sessione dedicata alla produzione musicale, commerciale e ai cortometraggi. Una mappa del mondo di Sofia Coppola tanto completa quanto impalpabile e forse mai del tutto raggiungibile, come avverte nell’introduzione Alice Rohrwacher: «Il suo cinema è per me come l’isola di Ogigia in cui abitava la dea Calipso: è sempre da qualche parte. Da qualche parte, sarebbe a dire in un luogo che tutti conosciamo ma non possiamo tracciare con sicurezza sulla mappa. Spesso sentiamo di riconoscerlo, ma mai fino in fondo. È un luogo dell’anima».

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