Visioni

Procida Film Atelier, il racconto di un’«altra» isola nello sguardo del desiderio

Procida Film Atelier, il racconto di un’«altra» isola nello sguardo del desiderioUn momento di lavoro del Procida Film Atelier

Territori La scommessa di fare cinema coi giovani per inventare una relazione con la realtà. 12 allievi, la supervisione di Di Costanzo, il progetto di un documentario

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 21 luglio 2022

Due signore che discutono con la Corricella sullo sfondo, tra lumini e reti da pesca; bagnanti sulla spiaggia del Ciraccio; pescatori in notturna; Girone, personaggio epico di Procida, cuoco e contadino che resiste alla modernità; la più giovane candidata al concorso della «Graziella» di quest’anno. Sono questi alcuni dei soggetti scelti dagli allievi di Procida Film Atelier 2022, il corso di regia di cinema documentario sull’isola di Arturo, finanziato dalla Regione Campania nell’ambito di Interventi integrativi a Procida Capitale 2022 – e promosso dalla Film commission Regione Campania e coordinato da Antonella Di Nocera per Parallelo 41 produzioni.

Dal 13 giugno, un gruppo di giovanissimi – 12 selezionati su circa 60 candidature da tutta la Campania – abitano sull’isola. Ogni giorno escono a riprendere materiale che confluirà in un montato finale nel prossimo autunno.

CIASCUNO di loro in queste settimane ha cercato il suo «fuoco centrale» che sta sviluppando. Tra una ripresa e l’altra si torna alla casa base, la Capraro, scuola media nel cuore di Procida: qui si guarda insieme e si commenta il girato assieme al regista Leonardo di Costanzo, supervisore d’eccezione, e a Caterina Biasiucci, Claudia Brignone e Lea Dicursi, sue ex allieve all’Atelier di Cinema del Reale di FilmaP, che coordinano il corso fino al 27 luglio.

«La prima fase è stata propedeutica: un po’ di spiegazioni tecniche, esercizi e via a girare», racconta Lea Dicursi, montatrice, che dalla sua prima esperienza di formazione con Di Costanzo a Ponticelli non ha mai perso di vista le registe Caterina Biasucci e Claudia Brignone. Tutte e tre si sono ritrovate a Procida a «aiutare l’altro a costruire un proprio sguardo», proprio come Leonardo Di Costanzo aveva fatto con loro circa otto anni fa. Questo passaggio di testimone è qualcosa di raro e prezioso, soprattutto se consideriamo che si tratta di tre giovani donne. Passando mezza giornata col gruppo dell’atelier, ci si rende subito conto di due cose: è nata una piccola comunità che ogni giorno cresce e si alimenta di bellezza; il classico format nozionistico «maestro- discente» è stato sostituito da un laboratorio permanente profondamente improntato sul fare.

Far capire ai ragazzi cosa vogliono è complicato. Più che insegnare o imporre regole, si tratta di aiutarli a trovare la propria strada

DI COSTANZO spiega che molti, pur venendo da facoltà di comunicazione e cinema, non hanno mai avuto un approccio pratico alla materia. Cecilia, 25 anni, laureata in fotografia e studentessa di cinema; Dario, sociologo diciannovenne, Ernesto, che dopo l’Accademia di Brera ha deciso di intraprendere la strada dell’audiovisivo; Angela, 19 anni di Pignataro Maggiore che non aveva mai avuto a che fare con il cinema documentario; Giorgia, 17 anni, oltre alle camere in dotazione spesso usa la sua telecamerina portatile per «rubare» immagini alla realtà. Quando ci parli, esprimono la stessa contentezza: è bello fare, dopo anni passati a studiare teoria.

Leonardo di Costanzo e alle spalle Caterina Biasiucci, Claudia Brignone, Lea Dicursi con gli allievi del corso

«FAR CAPIRE ai ragazzi cosa desiderano è la cosa più complicata, forse il lavoro più difficile che abbia mai fatto. Di solito lavoro con persone più adulte che hanno una maggiore consapevolezza. Cerchiamo di partire dal loro desiderio, di evitare le strade semplici. Più che insegnare o imporre delle regole, si tratta di aiutarli a trovare la propria direzione e la propria modalità di guardare, di raccontare il mondo», spiega Di Costanzo che da oltre vent’anni si occupa di formazione nell’ambito documentaristico. «Con le immagini devi riuscire a ricostruire un universo e un possibile sviluppo, a dare coerenza a dei modi completamente spontanei». Non usando modelli precostituiti ma attraverso discussioni, confronti e visioni collettive.

Si esce sempre in due, camera e microfono ambientale alla mano: le coppie e i ruoli non sono fissi. «Ragioniamo su desiderio, sguardo, su come rendere cinematografico il reale: è una continua riflessione», racconta Lea Dicursi. «È un confronto non un insegnamento, ci si pone domande ogni giorno», aggiunge Caterina Biasiucci. «L’aspetto più bello è vedere come questi ragazzi siano cresciuti in così poco tempo, pur avendo poche o nessuna conoscenza in ambito pratico», afferma emozionata Claudia Brignone.

«Al di là se poi diventerà un mestiere, penso che quest’esperienza ti formi molto». Ne è convito Leonardo Di Costanzo che anni fa iniziò proprio così la sua storia d’amore col cinema: dopo una tesi in Storia delle religioni all’Orientale di Napoli, andò in Francia in cerca di qualcuno che facesse «antropologia visuale». A Parigi trovò gli Ateliers Varan di Jean Rouch dove dopo essere stato studente è stato a lungo insegnante. «Oggi riceviamo la maggior parte delle informazioni attraverso l’immagine, spesso però non sappiamo decodificarle. Questo tipo di formazione aiuta a avere una maggiore consapevolezza nel produrre e anche nell’essere fruitore: si dovrebbe fare in tutte le scuole di ordine e grado. Imparare a fabbricare, e quindi riflettere sulla fabbricazione, è lo strumento migliore per capire».

TANTI piccoli pezzi poco a poco fanno un ritratto ma riprendere la realtà di un’isola che si sta trasformando in una cartolina non è semplice: questo cambiamento in atto viene fuori anche dal materiale dei ragazzi che faticano non poco a scavare nelle vite di persone e luoghi che, da un giorno all’altro, sono passati dal silenzio al caos. «Cerchiamo di fargli capire le differenze nelle tipologie di parola, ovvero nel modo in cui la gente parla. Essere filmati è complicato, le persone oggi si modellano su quello che vedono in tv. Nei documentari di Pasolini o di Comencini degli anni ’60, la gente è molto più libera, non c’è una ’regola’ con cui mettersi davanti alla telecamera. Non sappiamo che ritratto uscirà di Procida. È la prima volta che decidiamo di fare un film unico. Vorremmo insegnare che i ragazzi imparassero a entrare in relazione con le persone trovando un altro tipo di ’parola’». Questa è l’unica indicazione. Non esiste migliore sceneggiatore della realtà, ma bisogna saperla guardare. Imparare a osservarla dalla giusta posizione significa avere accesso a un patrimonio infinito che nessuno sceneggiatore potrebbe mai inventare».

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