«Il fuoco invisibile» di Daniele Rielli è un libro necessario. Aiuta a rileggere, in una prospettiva storica, un evento di dieci anni fa davvero importante perché segna un prima e un dopo nell’agricoltura del nostro Paese: protagonista del testo – che è bel un saggio scritto con la penna elegante del reportage – è infatti la diffusione del virus Xylella in Salento e la conseguente crisi di un modello agro-industriale basato sulla monocoltura dell’ulivo, perché – ed è ben spiegato nel testo – questo era stata storicamente l’olivicoltura salentina, a differenza ad esempio di quella toscana.

A DISPETTO DEL LEGAME che ogni famiglia vive con il proprio oliveto, da cui ricava un condimento domestico, le piante monumentali hanno garantito materia prima (olive) per la produzione di olio lampante, non certo extra vergine d’oliva.

UNO DEI GRANDI MERITI di Daniele Rielli è la scelta di dar voce nel suo racconto a tutti coloro che hanno partecipato al dibattito, mettendo in luce il ruolo fondamentale degli scienziati del Cnr di Bari, che hanno isolato un virus che non era mai stato presente sul territorio, e sottolineando gli argomenti di coloro che hanno provato a negare l’evidenza degli effetti devastanti del virus, tra loro anche Al Bano.

RISALTANO COSI’ IL RUOLO della politica e quello della Procura di Lecce, la prima mossa – anche a livello regionale, più volte si cita Michele Emiliano – solo dall’interesse spicciolo del voto e del consenso, la seconda arroccata a difesa ideologica di uno status quo che era però ormai indifendibile, muovendo indagini pretestuose che non hanno portato a niente.

CI SONO TUTTAVIA NEL racconto almeno tre aspetti che non aiutano (non servono?) a comprendere meglio la vicenda. La prima è la costruzione narrativa che fa percepire un legame tra negazionismo e pratiche agricole sostenibili, in particolare quella dell’agricoltura organica rigenerativa, che – scrivo per esperienza diretta del lavoro in Italia di Deafal, l’organizzazione che promuove questo approccio agricolo e ha collaborazioni coi maggiori istituti di ricerca pubblici italiani – ha solide basi scientifiche, fondate sulla diagnosi del suolo e sull’applicazione di buone pratiche agronomiche.

LA SECONDA E’ LA VISIONE caricaturale dell’agricoltura biodinamica, che non è solo corni sotterrati ma un insieme di azioni a tutela e difesa della fertilità della terra. Magari Cinzia Scaffidi – che ora collabora anche con Demeter Italia – può regalare a Rielli il suo libro Il profitto e la cura (ne abbiamo parlato a dicembre 2021 sull’ExtraTerrestre), che lo aiuterebbe ad orientarsi anche in relazione a un ultimo punto critico, che è la difesa dell’agricoltura industriale con i suoi erbicidi, pesticidi e fungicidi.

UNO DEI MASSIMI CENTRI di ricerca del nostro Paese, Ispra, pubblica ogni anno i dati relativi alla persistenza di queste sostanze nell’acqua di falda e in quelle superficiali, dando conto di un problema reale. Che questo ricorso alla chimica di sintesi serva per produrre di più, poi, senz’altro è vero, ma è plausibile solo all’interno di un sistema di mercato fondato sulla Grande distribuzione organizzata e quindi sullo spreco.

SPRECO E’ CIO’ CHE VIENE gettato perché invenduto, ciò che non viene proprio commercializzato, perché sotto le misure standard, come insegnano rapporti di ricerca di Terra Onlus. Spreco potremmo considerare, nell’era della scarsità idrica, anche la risorsa usata male, come l’acqua per coltivare mais per l’alimentazione degli animali all’interno degli allevamenti intensivi.

MODELLI DA RIVEDERE, come la monocoltura dell’ulivo in Salento a cui stanno lavorando alcune voci sentite da Rielli. Il fuoco invisibile è un gran bel libro, utile ed efficace, scritto splendidamente (chi può vada a ricercare anche i reportage di Rielli usciti per Adelphi, «Storie dal mondo nuovo»), un libro senz’altro da leggere.

QUESTI TRE APPUNTI non cambiano il giudizio complessivo, ma offrono indizi per una lettura più attenta, almeno ai lettori dell’ExtraTerrestre.