Il Quantitative easing che esclude i cittadini
Bce Le «politiche non convenzionali» alla lunga tendono a redistribuire verso l’alto la ricchezza, acuendo le diseguaglianze
Bce Le «politiche non convenzionali» alla lunga tendono a redistribuire verso l’alto la ricchezza, acuendo le diseguaglianze
La parola austerità evoca, per esteso, sacrifici e scarsità di risorse. Questo principio vale in assoluto, per tutti, o ci sono delle eccezioni? Insomma, i soldi ci sono o no? Ultimamente, sembra che l’interesse dei media per le politiche “non convenzionali” della Bce sia andato scemando, eppure a Francoforte si continua a “stampare” moneta, dal nulla, ad un ritmo a dir poco vertiginoso. Moneta elettronica, a “costo zero”, numeri.
Il programma di Quantitative easing, lanciato l’anno scorso da Draghi, prevedeva un limite temporale di 18 mesi ed un volume di acquisti mensili pari a 60 miliardi di euro. Adesso, l’asticella temporale è stata spostata a 24 mesi (scadenza marzo 2017), mentre le operazioni mensili potranno arrivare fino ad 80 miliardi di euro. Da 1000 miliardi iniziali, si arriverà, pertanto, a quasi il doppio. E non è detto che finisca qui. Ci si aspettava un aumento dell’inflazione (il target, in linea con gli obiettivi della Bce, era il 2%), per rimettere in moto l’economia, ma i prezzi in zona euro sono continuati a scendere: a luglio l’indice dei prezzi al consumo ha fatto registrare un calo dello 0.6%, contro lo 0.2% del mese precedente.
In compenso, le banche hanno beneficiato di tanto denaro fresco e smaltito una buona quantità di titoli di Stato che portavano in pancia (il 75% degli acquisti è stato riservato al debito sovrano, 1.000 miliardi di euro in totale). Non solo: la Bce ha deciso di pagare addirittura un interesse alle banche che chiederanno nuova liquidità.
La novità più importante, nondimeno, a partire dal marzo scorso, è data dall’ampliamento della platea dei titoli acquistabili: ai titoli di Stato ed altri titoli detenuti dalle banche si sono aggiunti i bond emessi dalle aziende non finanziarie, i cosiddetti corporate bond, a condizione che siano “affidabili”, non speculativi (investment grade). Secondo una stima del Wall Street Journal, al 12 agosto Eurotower avrebbe già acquistato titoli societari per un valore di 16 miliardi di euro. Un affare per i grandi gruppi, che già stanno pensando di confezionare bond “su misura” per il Qe.
A parte il rischio di gonfiare una nuova e più pericolosa bolla sui mercati, la faccenda non fa che confermare la previsione secondo cui queste “politiche non convenzionali”, alla lunga, tendono a redistribuire verso l’alto la ricchezza, acuendo le diseguaglianze, tagliando i cittadini, i lavoratori, dal godimento dei loro frutti. In fondo è semplice: banche a parte, chi può approfittare di una crescita del valore di azioni ed obbligazioni societarie (capital gain)? Le imprese, gli speculatori, chi gioca in borsa, sicuramente. Non certo i salariati, i precari, chi vive del proprio lavoro, che invece continuano a pagare, insieme, il prezzo della stretta fiscale (austerità) e quello derivante dal crollo dei rendimenti sui loro piccoli risparmi, stante la politica ribassista della Banca centrale sui tassi. E’ una partita che si gioca in ambiti lontanissimi dalla materialità della vita dei cittadini comuni, alle prese con problemi di lavoro e di accesso alle cure, con le rate dei mutui e le rette scolastiche, il caro libri, la disabilità. Ambiti dai quali è escluso il 99% della popolazione, per parafrasare Joseph Stiglitz, che proprio sugli effetti di lungo periodo del Quantitative easing è tornato nuovamente nei giorni scorsi.
L’alternativa potrebbe essere l’helicopter money, ovvero il trasferimento diretto ai cittadini della moneta creata dalle banche centrali? Potrebbe, ma solo in via eccezionale. Molto meglio ripensare ad una politica di investimenti pubblici, in settori strategici, innovativi, ad alto valore aggiunto. D’altronde, a parte la letteratura, sono i numeri di questi anni a suggerire questa strada. Prendiamo il nostro Paese: tra il 2007 e il 2015 gli investimenti sono scesi di ben 109,7 miliardi di euro, un arretramento percentuale di 29,8 punti. Nello stesso periodo abbiamo perso 10 punti di Pil. Ci sarà un nesso, o no?
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