Quote partito rispettate: sette presidenti a Fratelli d’Italia, quattro alla Lega e tre a Forza Italia. Fedelissimi dei capi partito garantiti. Esclusi dalla lotteria dei ministeri recuperati. Alla camera la selezione degli uffici di presidenza è andata come doveva andare per rispettare gli equilibri politici della maggioranza. Con la conseguenza che competenza e merito sono andati a farsi benedire. E che su 14 commissioni sono stati eletti 14 presidenti uomini.

Vediamo nel dettaglio, avvertendo che oggi si replica al senato (dove però il regolamento è stato adattato al taglio dei parlamentari e le commissioni permanenti sono adesso solo dieci) dunque lo spettacolo continua.

Fratelli d’Italia ha ottenuto la guida di tre commissioni di prima fascia, Giustizia con Ciro Maschio – di cui si ricorda l’impegno da presidente del Consiglio comunale di Verona per dedicare una strada ad Almirante «un esempio di coerenza» -, Esteri con Giulio Tremonti che ha sei legislature alle spalle durante le quali, al governo o in parlamento, si è sempre occupato di economia e finanze, e appunto Finanze che però non è andata all’ex ministro che ci puntava ma a Marco Osnato, referente dei fratelli Ignazio e Romano La Russa (quello del saluto fascista). Il partito di Meloni ha ottenuto anche altre quattro commissioni di importanza a scalare: la cultura con Federico Mollicone, responsabile del settore di FdI, la commissione lavoro con Walter Rizzetto, deputato che nove anni fa arrivò in parlamento con il M5S, la commissione ambiente con Mauro Rotelli – processato e prescritto alcuni anni fa perché accusato, da assessore a Viterbo, di aver fatto assumere persone segnalato dal partito, anche dalla sorella di Giorgia Meloni, condannato in appello dalla Corte dei Conti a risarcire 70mila euro al comune – che si è in passato occupato di trasporti, e la commissione Trasporti ma con Mauro Deidda, esperto di difesa.

La Lega ha avuto le sue quattro presidenze, ma tutte in commissioni di minore importanza, bilanciando così il più generoso bottino ministeriale. Alla Difesa è andato Antonino Minardo, un deputato ancora giovane ma di lungo corso, già passato per il Popolo delle Libertà e per il partito di Alfano, che in passato è stato in una mezza dozzina di commissioni parlamentari ma mai alla Difesa; alle Attività Produttive arriva Alberto Gusmeroli che si è sempre occupato di Finanze, alle Politiche della Ue Alessandro Giglio Vigna e all’Agricoltura Mirco Carloni, anche lui approdato alla Lega dopo trascorsi alfaniani, ma soprattutto fino a qualche giorno fa ancora assessore regionale nelle Marche (ha dovuto lasciare per incompatibilità): alla sua prima legislatura è già presidente.

Forza Italia ha avuto la guida della prima commissione, la Affari Costituzionali, finita a Nazario Pagano, anche lui alla prima legislatura alla camera ma con un precedente al senato dove è stato tra i pochi avversari del taglio dei parlamentari contro il quale ha promosso il referendum. Berlusconi e Ronzulli sono riusciti a sistemare alla guida della commissione più delicata, la Bilancio, il fedelissimo Giuseppe Mangialavori che Meloni non aveva voluto al governo perché citato in un’inchiesta di Gratteri sulla ’ndrangheta (ma non indagato). Per Forza Italia, che aveva provato inutilmente a difenderlo nel toto ministri, è «uno straordinario professionista, un medico, un senologo» che si occuperà adesso dei conti pubblici. Infine Berlusconi ha fatto felice anche il suo amico ex presidente della Sardegna Ugo Cappellacci che nella scorsa legislatura si era occupato di politica estera: guiderà la commissione Affari Sociali.
Dopo queste nomine, alla camera i deputati con un incarico nell’ufficio di presidenza dell’aula, delle commissioni o dei gruppi sono così 130. Una percentuale molto alta del totale che è sceso a 400 deputati, dopo il taglio. Con la prossima costituzione delle commissioni di vigilanza, di inchiesta e delle giunte, i deputati «semplici» saranno una minoranza.