Il punto Rai
Ri-mediamo Invece di tagliare Rai-Way perché il governo non fa un disegno di legge centrato su tre punti: indipendenza della Rai dai partiti e dai poteri esterni, regolazione del conflitto di interessi, abrogazione della legge Gasparri?
Ri-mediamo Invece di tagliare Rai-Way perché il governo non fa un disegno di legge centrato su tre punti: indipendenza della Rai dai partiti e dai poteri esterni, regolazione del conflitto di interessi, abrogazione della legge Gasparri?
Attorno alla questione Rai – neanche troppo oscuro oggetto del desiderio – si sta giocando una partita che supera di gran lunga i confini dell’azienda. Una prova di forza, ad alto contenuto simbolico, decisa dal governo. Del resto, ora il presidente del consiglio è sospinto dai venti degli dei e il dibattito (non certo solo sulla Rai) sta assumendo le sembianze del pensiero unico. Attenzione, però, a non strafare. I promotori dello sciopero, vale a dire le organizzazioni sindacali e non solo la componente giornalistica Usigrai, saranno pure «brutti, sporchi e cattivi», come un certo neoconformismo vuole dipingerli, ma pongono problemi seri. Pesa la decisione della Commissione di vigilanza sugli scioperi, certo. Da capire.
Ma la grande parte dei lavoratori della Rai guadagna cifre assai modeste. I privilegiati, dunque, sono una minoranza, peraltro ascrivibile alle logiche del divismo, dell’ossessiva ricerca dell’ascolto, al connubio tra programmi e pubblicità. Ciò non toglie che la quaresima è indispensabile, dopo anni di sprechi e di spese assurdi, di assurdi appalti dispendiosi: altra faccia di quel «duopolio» Rai-Mediaset, che per anni è stato l’approdo e l’isola felice del sistema politico-clientelare italiano.
All’origine dei mali della Rai sta proprio quel tempo, in cui la concorrenza (apparente più che reale) faceva lievitare i costi, creando un indotto graditissimo a pezzi di partito, a lobby fameliche, ai salotti della «grande bellezza». E chi era contro era, per ciò stesso, un eretico marginale. Complice il conflitto di interessi sempre determinante, ogni tentativo di cambiamento è stato affossato.
Il rosario delle leggi affossate è lungo. Ben venga, allora, un vento innovatore. Con qualche punto fermo. Innanzitutto, il diritto di sciopero è sacrosanto e suscita un retrogusto amaro assistere alla gara di queste ore a mostrarsi fedelissimi al «buon governo». L’eccesso di zelo è sempre sospetto. Inoltre, va ricordato – non rimosso – il punto da cui origina la vertenza. Con un atto di dubbia costituzionalità, come ben sottolineato dalla memoria preparata al riguardo da Alessandro Pace, il taglio delle risorse è stato inserito in un decreto legge, il n.66 sull’Irpef. Sui principi non si transige. Anche un esecutivo guidato da Lenin e composto da Mao, Ho Chi Minh e Rosa Luxemburg non l’avrebbe scampata. Se, poi, l’avesse fatto Berlusconi, che avrebbero detto e scritto tanti commentatori?
Perché non è stato proposto un disegno di legge centrato su tre punti: indipendenza della Rai dai partiti e dai poteri esterni, regolazione del conflitto di interessi, abrogazione della legge Gasparri che santificò il duopolio?
Il governo gode di un enorme favore popolare e di una altrettanto estesa simpatia mediatica. Davvero sarebbe augurabile che l’incidente si chiudesse, ma con l’individuazione di un impegnativo tavolo di confronto tra governo, sindacati e azienda.
Il sottosegretario Giacomelli ha fatto finalmente un’apertura su uno dei nodi qualificanti della vertenza: la conferma anticipata del rinnovo della «Convenzione Stato – Rai». Solo così, tra l’altro, si può immaginare una strategia, ivi compresa la questione di Rai-Way, che oggi – in assenza di un piano globale – rischia di essere una mera e suicida operazione di cassa. Altro ci vuole, però. Una visione. Negli anni Sessanta in Gran Bretagna fu istituita una commissione presieduta da Harry Pilkington per riformare la Bbc. Non si può fare lo stesso in Italia? O è in corso una prova muscolare preventiva?
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