Il proprio orticello non bisogna coltivarlo da soli
Nulla dicono i manuali di giardinaggio delle buone relazioni tra vicini d’orto che non sia strettamente attinente al codice civile. E’ qualcosa che al contrario andrebbe approfondita, espressa in maniera […]
Nulla dicono i manuali di giardinaggio delle buone relazioni tra vicini d’orto che non sia strettamente attinente al codice civile. E’ qualcosa che al contrario andrebbe approfondita, espressa in maniera […]
Nulla dicono i manuali di giardinaggio delle buone relazioni tra vicini d’orto che non sia strettamente attinente al codice civile. E’ qualcosa che al contrario andrebbe approfondita, espressa in maniera non neutrale, come se ciò che accadesse in un orto fosse soltanto di pertinenza di chi quell’orto coltivi. Non è così. Tutta la messe di consigli con tanto di citazione degli articoli di legge che impongono certe distanze tra le siepi, sui rami che sporgono, sulle opere vive e tutto quello che occorre sapere per non avere noie burocratiche o legali con il vicino o con le vicine strade o abitazioni attigue, è utile ma la necessità di buone relazioni con il vicino d’orto non è affatto sufficiente.
Quei manuali non si preoccupano minimamente dell’effetto su tutta la catena del vivente dell’uso dei pesticidi, per esempio. Se sono consentiti dalla legge, essi scrivono, basti rispettare i tempi di assorbimento da parte delle piante per poi consumare il prodotto. Un approccio tutto indifferente al fatto che se un orticultore nel proprio campo adopera , per esempio, neonicotinoidi, questi uccideranno le api che mancheranno anche all’orto del vicino. E’ necessario al contrario parlare con il vicino. Non è proprio vero che ciascuno debba badare solamente al proprio orticello.
E’ vero che è sacrosanto e giusto che ciascuno lo coltivi con l’amore, la passione, il tempo, le conoscenze acquisite in proprio, è altrettanto vero che le conseguenze di un errato o pernicioso modo di comportarsi nel proprio campo, influisce e in maniera nefasta o positiva sui capi di tutti gli altri. Comportamenti come l’uso dei pesticidi, l’uso di incendiare le stoppie – in talune aree ancora permesso – l’adozione di pratiche estensive di coltivazione senza nessuna cura per la biodiversità locale, minacciano l’aria, il suolo, le acque di tutti quanti coltivino in quella determinata area. Bisogna provare ad instaurare buone relazioni, parlare, ragionare con i vicini. Ciò si può fare e nella mia esperienza ha sempre funzionato, cominciando con il dono e l’offerta disinteressata di reciproco aiuto. Si comincia con un saluto, lo scambiare due chiacchiere e si prosegue. Se l’atteggiamento è quello di chi umilmente suggerisce di sostituire, per esempio, i legacci di plastica per i pomodori, con la ben più compostabile rafia, magari regalandone un rocchetto, forse è questo un modo per allacciare buone relazioni. Ci vuole pazienza, ci vuole costanza e non bisogna mai «invadere» o dare la sensazione di volere prevaricare. Se si hanno vicini che ignorano del tutto le pratiche del compostaggio, che nulla sanno di antiche varietà, che si ostinano a tosare a zero ogni angolo non immediatamente coltivato, forse il dono di una melissa può essere gradito. Una volta era assolutamente normale darsi una mano per i lavori nei campi.
Quella civiltà contadina autentica è morta e sepolta da tempo, tocca a noi, coltivatori innamorati della terra, consapevoli che dai nostri orti non si diffonde solamente buona semente ma una serie infinita di mille altre buone pratiche solidali, allacciare le relazioni giuste per costruire attorno ai nostri orti un mondo più coeso, un piccolo mondo di contadini che contribuiscano a fare di questo pianeta un posto più pulito, più piacevole da vivere per noi e per tutte le creature che lo abitano.
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