Lavoro

Il programma di governo sul lavoro: c’è la «rappresentanza» ma è tutto troppo vago

Il programma di governo sul lavoro: c’è la «rappresentanza» ma è tutto troppo vagoI lavoratori Fca di Pomigliano

Salario Minimo e Tasse Prevista una legge sulla storica battaglia Fiom. Restano spending review e austerità

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 4 settembre 2019

Partiamo dalla buona notizia. Una delle poche. Al netto della genericità dei titoli elencati senza approfondimento. Nel documento reso noto dal M5s si prevede una «legge sulla rappresentanza». La si trova al punto 2 – di 26 – al comma C. Si tratta del cavallo di battaglia ormai decennale della Fiom. Che la chiedeva soprattutto dopo l’estromissione dalle fabbriche Fiat a causa del «modello Pomigliano» instaurato da Marchionne. Il 26 novembre 2009 il Comitato centrale della Fiom lancia la proposta di legge – messa appunto da Piergiovanni Alleva – «per rendere realmente praticabile la democrazia sindacale, estendendo il diritto di eleggere le rappresentanze sindacali in tutti i luoghi di lavoro e introducendo criteri certificati di misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali». L’obiettivo è «far diventare il voto espresso da lavoratrici e lavoratori, tramite referendum, lo strumento con cui validare sia gli accordi aziendali che i contratti nazionali, nonché gli accordi interconfederali relativi al sistema contrattuale».

Nel corso degli anni la proposta si allarga alla rappresentanza delle imprese: per evitare i «contratti pirata» firmati da associazioni e sindacati non rappresentativi, Cgil-Cisl-Uil chiedono a Confindustria di certificare la rappresentanza delle proprie consociate. L’Inps da più di un anno dovrebbe dare i dati sulle deleghe sindacali dei lavoratori, ma la procedura sembra più complessa della scissione dell’atomo.

L’INCIPIT DEL PUNTO 2 è «ridurre le tasse sul lavoro, a vantaggio dei lavoratori». Rottamando la Flat tax salviniana, anche qui si rimane sul vaghissimo. Specie se Di Maio continua a parlare di «imprese che pagano tre stipendi per un lavoratore solo», come ha ribadito ieri.

NATURALMENTE IL M5S non ammaina – anzi, rilancia – la bandiera del «salario minimo», inviso invece alla Lega. Ed è qua che si giocherà la partita più complicata per Pd, sinistra e – soprattutto – sindacati. Il secondo comma del punto 2 recita: «individuare una retribuzione giusta (“salario minimo”), garantendo le tutele massime a beneficio dei lavoratori». Con un giusto corollario per i lavoratori autonomi: «individuare il giusto compenso per i lavoratori non dipendenti, al fine di evitare forme di abuso e sfruttamento in particolare a danno dei giovani professionisti».
I sindacati chiedono di legare il salario minimo ai minimi dei contratti nazionali con una estensione erga omnes dei contratti stessi a tutti i lavoratori, a prescindere dal contratto. Confindustria si dice contraria. Vedremo con chi staranno il Pd e il M5s.

CONTRARIAMENTE ALLE PROMESSE di Conte, l’austerità non sembra per niente messa in soffitta. Il punto 14 recita: «Il Paese ha bisogno di un’ampia riforma fiscale. Occorre razionalizzare la spesa pubblica, operando una efficace opera di spending review e rivedendo il sistema di tax expenditures».
Scontati quanto vaghi anche gli accenni agli investimenti pubblici per il Sud. Al punto 16 si legge: «Va lanciato un piano straordinario di investimenti per la crescita e il lavoro al Sud, anche attraverso l’istituzione di una banca pubblica per gli investimenti che aiuti le imprese in tutta Italia per colmare il divario territoriale».

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