Il progetto Rodotà diventa legge di iniziativa popolare
Beni comuni Ripartiamo da quel testo perché le leggi sul demanio, sulla proprietà pubblica non sono state in grado di tutelare i beni ed i diritti dei cittadini, contribuendo piuttosto al depauperamento e al saccheggio delle risorse naturali, delle infrastrutture, dei servizi pubblici, dei diritti sociali senza benefici per la collettività
Beni comuni Ripartiamo da quel testo perché le leggi sul demanio, sulla proprietà pubblica non sono state in grado di tutelare i beni ed i diritti dei cittadini, contribuendo piuttosto al depauperamento e al saccheggio delle risorse naturali, delle infrastrutture, dei servizi pubblici, dei diritti sociali senza benefici per la collettività
Oggi, all’Accademia dei Lincei, nell’ambito di un Convegno su Quale futuro per i beni pubblici, verrà rilanciato il disegno di legge Rodotà, elaborato 10 anni fa per tutelare i beni ed i servizi pubblici.
Lo strumento per riproporre quel testo, boicottato da tutte le maggioranze parlamentari, ostaggio del mito delle privatizzazioni, sarà la legge di iniziativa popolare. È un istituto previsto dalla Costituzione, di democrazia partecipativa, che dà senso al concetto di sovranità popolare e di democrazia sostanziale. Il testo Rodotà, seppur boicottato dalle maggioranze che si sono succedute, ha vissuto in questi anni attraverso i cittadini, i giudici, gli amministratori locali, realizzando un vero e proprio “diritto dal basso”.
Ripartiamo da quel testo perché le leggi sul demanio, sulla proprietà pubblica non sono state in grado di tutelare i beni ed i diritti dei cittadini, contribuendo piuttosto al depauperamento ed al saccheggio delle risorse naturali, delle infrastrutture, dei servizi pubblici, dei diritti sociali senza benefici per la collettività.
Introdurre nel nostro ordinamento giuridico le categorie dei beni comuni (risorse naturali), dei beni sociali (istruzione, ricerca, lavoro, salute) e dei beni sovrani (infrastrutture strategiche, servizi pubblici essenziali), significa dare attuazione alla Costituzione e dare risposte al neoliberismo e al capitalismo finanziario.
Siamo convinti che possa aprirsi, proprio attraverso la legge di iniziativa popolare, un forte dibattito politico nel paese, in grado di evidenziare come i processi di privatizzazione abbiano privato lo Stato di importanti entrate di cassa, nonché di assetti industriali che rappresentavano la spina dorsale dell’economia pubblica e del sistema di welfare che, in parte, si reggeva su di essa.
Si è di fatto realizzata, senza che la normativa sui beni pubblici fosse in grado di porre ostacoli, la consegna a monopoli privati di attività e servizi gestiti precedentemente dal pubblico. In presenza di monopoli naturali, privi di situazioni di concorrenza, attraverso le privatizzazioni si è realizzato il trasferimento di ciò che prima era in mano pubblica – dunque di proprietà dei cittadini attraverso lo Stato – a poche mani private, che hanno potuto realizzare profitti senza rischio industriale.
Emblematico il caso delle autostrade: un regalo al gruppo Benetton, una rendita garantita con un rischio imprenditoriale nullo, con il contribuente che ha continuato a farsi carico delle spese per la rete.
Ci voleva purtroppo la tragedia del ponte Morandi per attirare l’attenzione sul ruolo nefasto che le concessioni hanno giocato nel nostro Paese.
Nel 2007, in Commissione Rodotà, avevamo ben individuato come il sistema normativo dei beni pubblici non fosse in grado di fronteggiare le privatizzazioni selvagge e come la legislazione speciale post Maastricht avesse accelerato tale processo di impoverimento dello Stato e di negazione dei diritti dei cittadini.
Siamo ben consapevoli che l’istituto dell’iniziativa popolare sia considerato uno strumento debole, ma siamo anche certi che possa consentire l ‘apertura di un importante dibattito. Penso in particolare alla legge di iniziativa popolare sull’acqua del 2006 che raccolse mezzo milione di firme aprendo un dibattito ed una mobilitazione politico-sociale molto rilevante. Al punto da trasformarsi, come aveva già in Costituente ventilato Mortati, in una proposta referendaria che portò alle urne 27 milioni di cittadini contro il saccheggio predatorio dei servizi pubblici voluto dal decreto Ronchi (2008).
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