Il profondo sud di Rocco Scotellaro
Neorealismo Il poeta più rappresentativo del movimento del dopoguerra, scomparso a trent'anni
Neorealismo Il poeta più rappresentativo del movimento del dopoguerra, scomparso a trent'anni
«Rocco morto/terra straniera, l’avete avvolto male/i vostri lenzuoli sono senza ricami/Lo dovevate fare, il merletto della gentilezza!». Così Amelia Rosselli ricorda, dopo la morte prematura, l’amico Rocco Scotellaro (Tricarico, MT, 19 aprile 1923/Portici, NA, 16 dicembre 1953). A novantacinque anni dalla nascita e sessantacinque dalla scomparsa dello scrittore, non viene conferito giusto rilievo alla produzione poetico-letteraria, svigorita forse dagli ideali politico-intellettuali che gli hanno dato popolarità al punto da far prevalere l’impegno sociale sull’opera poetica. Prima la presenza costante accanto alla sua gente e l’elezione in giovane età a sindaco del Partito Socialista del suo paese; poi il carcere, accusato di concussione dagli oppositori politici e in seguito prosciolto con formula piena. A ciò si aggiunga la morte prematura a trent’anni. Si può asserire che Scotellaro sia il poeta più rappresentativo del Neorealismo, unico interprete di quelle stesse sollecitazioni che in ambiti, come cinema o produzione romanzesca, hanno dato esiti memorabili. Sintomatiche le parole che Carlo Levi gli rivolge dopo aver letto il romanzo autobiografico L’uva puttanella: «Questo tuo libro supera il mio Cristo». Lo scrittore lucano spoglia la poesia di retorica e visioni oleografiche; restituisce la parola a chi per secoli l’ha persa o mai posseduta; ridà voce a figure ritenute non meritevoli di poesia e tagliate fuori dalla storia. Costoro parlano nella poesia È fatto giorno, scelta da Carlo Levi per intitolare l’antologia di poesia uscita postuma nel ’54 e commentata da Franco Fortini come «la celebrazione di alcuni dei momenti più alti della vita collettiva di una classe che prende coscienza di sé e l’angoscia dell’inevitabile perdita dell’idillio». Versi che conferiscono diritto all’esserci ai braccianti meridionali, agli esclusi, agli analfabeti. Diritto a essere considerati, concedendo loro la parola. I braccianti non più oggetti ma soggetti della storia. Scotellaro indica un metodo e un indirizzo politico-culturale sconosciuti a gran parte della popolazione meridionale che a metà degli anni Cinquanta costituisce il nucleo fondamentale della classe lavoratrice. Quei braccianti cui Antonio Gramsci guarda come interpreti di un possibile riscatto con un’intesa con gli operai del Nord. La letteratura e l’arte diventano non solo mezzo d’indagine della condizione umana, ma soprattutto eco dell’ansia di riscatto morale, civile e sociale del popolo. Scotellaro tenta di cristallizzare il proprio tempo donandogli aspetti ideologici e intellettuali in chiave neorealista. Figlio di un calzolaio e di una sarta, porta a termine gli studi malgrado l’indigenza della famiglia: dopo aver frequentato nel Salernitano il liceo classico, prima nel convento dei frati Cappuccini a Sicignano, poi a Cava de’ Tirreni, consegue la maturità a Trento. Qui, avvicinatosi agli ideali del Socialismo, nel novembre ’40 sarà sospeso per un breve periodo dal liceo perché ha aderito a una manifestazione antifascista. Nel triennio1940/43 scrive alcune poesie affini a quelle del poeta suo conterraneo Leonardo Sinisgalli, entrando così nel vivo dei dibattiti sul ruolo sociale del letterato e sul rapporto tra cultura e politica. Gli si aprono nuovi orizzonti: marxismo, psicoanalisi, esistenzialismo di Jean-Paul Sartre. Manifesta notevole interesse per la letteratura straniera; predilige gli autori russi ma non disdegna Thomas Eliot, Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé, Federico García Lorca, Rainer Maria Rilke. Sulle riviste ‘Mercurio’, ‘Il Ponte’, ‘Lo Smeraldo’ pubblica le traduzioni dei classici greci e latini ma anche poesie di Arthur Rimbaud e Robert Luis Stevenson. Su ‘Società’ ha modo di leggere le poesie di Sergej Esenin che cantano la Russia contadina. Del mondo contadino, lo scrittore tricaricese è sia protagonista per ceto, usanze, lingua e solidarietà, che spettatore per capacità espressiva. Abbandonata la carica di sindaco, sceglie studio, ricerca e scrittura quali armi per combattere la sua battaglia. Non è una resa ma una scelta consapevole di adoperare strumenti differenti ma non meno efficaci e impegnativi per tutelare i contadini e far comprendere all’opinione pubblica le loro difficoltà. Convocato da Manlio Rossi Doria all’Osservatorio di Economia Agraria di Portici (NA), prende parte alla stesura degli studi preliminari del Piano Regionale della Basilicata commissionato dalla SVIMEZ e cura la parte inerente ai problemi igienico-sanitari, all’analfabetismo e alla scuola. Inizia per l’editore Vito Laterza la stesura del libro-inchiesta Contadini del Sud che sfortunatamente non porterà a termine per l’improvvisa morte e che sarà pubblicato postumo e incompleto nel ’54. Analizza dal punto di vista sociologico la realtà rurale attraverso storie di vita raccontate dai protagonisti, registrate e trascritte fedelmente, come la storia dell’anarchico Michele Mulieri, contadino e artigiano che nel ’50 innalza al bivio per Grassano (MT) un tricolore listato a lutto e proclama la ‘Repubblica dei Piani Sottani’. Carlo Levi consacra Scotellaro poeta-contadino, personaggio paradigmatico con propri simboli, miti, visione antropologica, folklore; fa di Rocco il nuovo Messia del Sud e della poesia il quinto vangelo a uso dei contadini. Dispone personalmente il corteo funebre; le donne lucane col loro lamento accompagnano al cimitero il feretro. È come se fosse morto un eroe greco. Nonostante l’intensa attività portata avanti, nel corso degli anni non mancano al poeta lucano momenti difficili e drammatici da affrontare e superare. Sradicato dalla sua terra, vive una profonda angoscia da emigrato; è smarrito e in perenne conflitto esistenziale con sé stesso per aver lasciato il paese natio; si sente quasi un traditore, tanto che definisce Napoli ‘città d’esilio’. È lo stesso stato d’animo che affiora nei versi della poesia Il posto. Il malessere lo attanaglia: vive la partenza dal paese e l’abbandono della lotta politica come peccato della propria vita. Si sente in colpa verso i contadini per aver ottenuto il posto fisso; teme di apparire distaccato e indifferente ai loro occhi. In Scotellaro emerge anche il dato antropologico quale elemento strutturante della poesia; in essa si concretizza l’incontro/scontro tra i due codici culturali: quello egemone e quello subalterno. Gli esiti sono quelli di una funzione dinamica e propulsiva che fa della sua poetica qualcosa di forte e moderno. Oggi non si presta a Scotellaro l’attenzione che merita, forse perché lo spessore culturale della sua poetica è agli antipodi con la gestione culturale della politica-spettacolo che ha perso ogni valore ideologico-progettuale, esercitando solo un forte potere di lottizzazione distante anni luce dalla concezione politica e intellettuale del poeta-contadino che senza alcun dubbio può definirsi gramsciano.
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