Il professore che amava la vita
Umberto Eco Ieri a Milano i funerali. Grande folla al commiato laico. Le parole misurate ma commosse del nipote e degli amici
Umberto Eco Ieri a Milano i funerali. Grande folla al commiato laico. Le parole misurate ma commosse del nipote e degli amici
«Ho fatto tesoro della tua intelligenza. Grazie per le storie che mi hai raccontato, le parole crociate fatte insieme, i libri che mi hai regalato, la musica che mi hai fatto ascoltare, i viaggi intrapresi, noi due da soli. Averti come nonno mi ha riempito d’orgoglio». Semplici, precise, toccanti, le parole del nipote quindicenne Emanuele, cui era indirizzata la lettera «Caro nipotino studia a memoria» apparsa un paio d’anni fa sull’Espresso, riempiono il Cortile della Rocchetta del Castello Sforzesco di Milano, strappano l’applauso più intenso, e dell’«uomo che sapeva tutto», semiologo, scrittore, filosofo, lasciano intravedere una ricca intimità. Arrivano quasi a fine cerimonia – laica, sobria, celere, proprio come la voleva – per salutare Umberto Eco nel Castello che fu dei Visconti e degli Sforza e che lui per buona parte della vita ha visto dalle finestre di casa.
Un addio di popolo per il «professore», il «maestro», l’«amico», morto venerdì scorso, una coda lunghissima di migliaia di persone di tutte le età – molti giovani, e tanti commossi – in fila ordinata per entrare nel Cortile. Dentro, i parenti, gli amici più stretti, e qualche personalità seduti accanto alle corone di fiori del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di Renzi (ieri assente, mentre sarà a Milano oggi per l’inaugurazione della settimana della moda) di Laura Boldrini e dell’Alma Mater, l’Universita di Bologna dove Eco ha insegnato per 41 anni. Sul feretro solo fiori di campo, e vicino la toga da professore. Alcuni minuti di musica barocca, pochi e concisi gli interventi, introdotti e chiusi dal suo amico e curatore editoriale Mario Andreose.
Tra i primi ad entrare, l’amico Roberto Benigni: «Quando arrivava lui diventava tutto speciale, c’era un luccichio, era un vento che faceva bene al mondo: persone come lui servono più in terra che in cielo». Passa Elisabetta Sgarbi, che con Eco ha condiviso l’ultima avventura editoriale, la creazione de «La nave di Teseo», programmaticamente ideata per contrapporsi alla neonata Mondazzoli: «Voleva una casa editrice – racconta – fondata da lui, ma non su di lui. Avrebbe potuto pubblicare ovunque, ha scelto con grande coraggio ed entusiasmo di fondare una casa indipendente, e questo lo fa un uomo assoluto e completo».
Molti gli amici presenti, da Inge Feltrinelli a Tullio Pericoli, da Gad Lerner a Gianni Vattimo, da Vittorio Gregotti al fisarmonicista Gianni Coscia all’ex allievo al Dams Stefano Bartezzaghi a Gino Strada, confuso nella folla. Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che ammette sia «difficile trovare le parole di fronte ad un maestro della parola», ne ricorda «la capacità di unire più mondi, di parlare con tutti», e «la passione per la vita».
Non è l’unico sindaco presente: poiché Eco «appartiene» a diverse città, ci sono anche i sindaci di Alessandria, dov’è nato, di Torino, di San Leo nel riminese e di Monte Cerignone, il suo buen retiro marchigiano. Da Bologna il rettore dell’Alma Mater Francesco Ubertini, e Ivano Dionigi, rettore prima di lui.
In rappresentanza del governo, parlano i ministri Stefania Giannini, Istruzione, e Dario Franceschini, Beni culturali. Interviene anche l’ex parlamentare, giornalista e scrittore Furio Colombo, che Eco lo conobbe – entrambi ventenni – all’Università di Torino. E ne ricorda un viaggio compiuto insieme in Cina: «È all’Università di Pechino che ha avuto il più clamoroso dei suoi successi: il campus fuori dall’aula – racconta – era gremito di una folla giovane, ma nella sala in cui Eco tenne la sua conferenza erano tutte teste bianche. Non avevano permesso o rischiato che i giovani lo ascoltassero». Mentre parla, Colombo mostra la copia del «New York Times» che l’altro giorno ha dedicato una pagina ad Eco e alla sua scomparsa. «La bellezza di questo articolo è la sorpresa e la meraviglia per il grande professore che ha dedicato la sua vita all’università e allo stesso tempo ha venduto milioni di libri». Come dice Moni Ovadia, «era anche un grande raccontatore di storielle umoristiche, barzellette e aneddoti. Aveva questa enorme libertà di essere aperto ad ogni forma del comunicare». Per chiudere: «Non rivedremo, ne’ io ne’ le nuove generazioni, un altro Umberto Eco».
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