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«Il problema sono io o è lui». Salvini contro Tria sulla Flat Tax

«Il problema sono io  o è lui». Salvini contro Tria sulla Flat TaxConferenza stampa del governo – LaPresse

Matteo Bazar Incontrando le parti sociali, il responsabile dell’economia aveva parlato di «progressività a seconda degli spazi che si creano». E Di Maio attacca l’alleato «Trovino le coperture necessarie. Non le ho viste»

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 27 luglio 2019

La guerra nel governo e nella maggioranza gialloverde è infinita. Non c’è tregua che tenga: chiuso (momentaneamente) un fronte, se ne apre un altro. E l’«altro fronte» in questione è forse il più dirimente di tutti, quello sul quale trovare una mediazione, vera o finta, è più arduo: la Flat Tax nella prossima legge di bilancio, alla quale Salvini non vuole e quasi non può più rinunciare.

LA SCINTILLA che innesca il nuovo incendio è la prudenza del ministro Tria sulla riforma fiscale. Negli incontri con le parti sociali di giovedì in realtà il ministro dell’Economia non ha chiuso le porte ma solo messo le mani avanti, parlando di semplificazione delle aliquote, di riduzione della pressione, «quanto più possibile» sui redditi medi e soprattutto di «progressività a seconda degli spazi che si creano». È quest’ultimo passaggio, che sembra subordinare la riforma e la sua entità agli spazi che la Ue sarà disposta a concedere che ha scatenato le ire di Salvini.

IL LEGHISTA va già duro: «Se Tria dice che per quest’anno il taglio delle tasse non si fa, il problema o sono io o è lui. Cosa faccio, una manovra all’acqua di rose? La Lega una manovra timida non la vota». O la Flat Tax subito o la crisi. Ma a rincalzo del ministro dell’Economia, che prudentemente evita di replicare, accorre Di Maio. Non era scontato e non sarebbe successo un paio di settimane fa. Certo i 5S frenavano, cercavano di torcere la riforma nella direzione da loro preferita, centrata soprattutto sui ceti medi, mettevano in campo altre proposte, il salario minimo e il taglio del cuneo fiscale, anche per non lasciare a Salvini il monopolio della prossima manovra. Ma il mantra ufficiale restava quello secondo cui «il taglio delle tasse è nel contratto e dunque si farà».
Il sì alla Tav ha cambiato le cose, e le ha cambiate profondamente. L’ira dei 5S, mai feriti tanto profondamente, negli ultimi due giorni era palese, quasi si toccava e si esprimeva in frasi gonfie di rancore: «Non gli faremo passare più niente».

MA BLOCCARE non basta. Si deve anche vedere perché, dopo lo smacco sulla Tav, i 5S devono dimostrare di avere ancora forza e capacità di resistere all’impeto di soci vissuti ormai non come rivali ma come nemici giurati. «Dire che si sta perdendo la fiducia in Tria e Conte non fa bene al Paese. Io ho piena fiducia in loro», esordisce Di Maio smarcandosi così da Salvini. Ma non si ferma qui e prende di mira il bersaglio grosso, la riforma che la Lega esige: «Se vogliono fare la Flat Tax trovino le coperture necessarie. Io non le ho viste. Non bastano 4 mld: serve il triplo. Noi per il taglio del cuneo le coperture le abbiamo. Quella è una misura realistica».

Se i governanti si prendessero sul serio, se non sapessero loro per primi che le parole che dicono e ascoltano vanno pesate per quel che valgono, dunque assai poco, non ci sarebbe nessuno spazio per andare avanti insieme. Ma il teatro ha le sue regole e dunque Salvini resta fedele alla massima esposta già prima dell’affondo pentastellato: «Io sono paziente. Con Di Maio di pazienza ce ne vuole molta. E anche con Tria».

LA PAZIENZA è una virtù eccellente. In questo caso, però, e su questo fronte, il tempo non gioca a favore del paziente leghista. La sua arma principale, la minaccia non solo di crisi ma di conseguenti elezioni anticipate, è già quasi scarica. Quando l’iter della legge di stabilità sarà avviato e la riforma costituzionale definitivamente approvata, in settembre, quella pistola sparerà solo a salve.

A OPPORSI alla riforma fiscale, a quel punto, non saranno solo mezzo governo e mezza maggioranza, senza contare l’opposizione, ma sarà l’Unione europea. Il monito di Standard’s & Poor è eloquente e definitivo. L’agenzia di rating non vede crisi del debito pubblico italiano all’orizzonte. Sempre che i governanti non «perseguano soluzioni non ortodosse». Segnatamente i minibot oppure «misure di bilancio senza copertura finanziaria, per eludere i vincoli fiscali stabiliti dai trattati». In quel caso l’Italia potrebbe finire in situazione molto simile a quella in cui si trovò la Grecia nel 2015. Una crisi sulla Flat Tax a settembre, insomma, non porterebbe al voto ma, quasi certamente, a una maggioranza alternativa.

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