Politica

Il problema di Renzi con i capi locali

La lettera dei sindaci non è piaciuta al presidente del Consiglio. Ma sull'eventuale accordo con Sel alle amministrative c'è una diversa convenienza tra il Nazareno e i dirigenti del Pd sul territorio

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 10 dicembre 2015

Nello stato maggiore di Renzi, la missiva dei tre sindaci, della quale erano informati già da alcuni giorni, non è stata affatto presa bene. In prima battuta il gran capo aveva addirittura ordinato di rispondere a muso duro, ordine poi derubricato a semplice ostentazione di freddezza viste le reazioni tutt’altro che entusiaste di Sel. E tuttavia il presidente e i fedelissimi erano perfettamente consapevoli del fatto che quell’intervento era fatto apposta per spingere Sel verso una riapertura di dialogo con il Pd. C’è qualcosa di apparentemente incomprensibile in questa reazione da parte di un premier e segretario di partito che, senza un accordo con la sinistra, rischia forte di non arrivare nemmeno al ballottaggio nella Capitale, tanto più che a Roma i pezzi da novanta del suo partito si stanno dando da fare proprio per ottenere quel riavvicinamento a cui i tre sindaci hanno offerto il loro prezioso supporto.
Per sciogliere il rebus, bisogna inquadrare la strategia del presidentissimo e l’agenda di priorità politiche che ha messo a punto. L’essenziale è che non venga scalfita la nuova immagine del Pd che va costruendo dal giorno in cui si è insediato alla segreteria: quella di un partito moderato, ripulito da ogni incrostazione di sinistra, appetibile per l’elettorato che ha fatto per vent’anni le fortune politiche di Arcore. Pur di difendere quell’immagine Renzi è pronto a sfidare la minaccia di non arrivare al ballottaggio a Roma. Considera la partita persa comunque, e in ogni caso non sarà difficile attribuire la responsabilità ai corrotti del passato. La piazza chiave diventa quindi Milano: lì non c’è Carminati che tenga e in gioco c’è la definizione stessa del partito. L’inquilino di palazzo Chigi è però certissimo che Sala sbaraglierà gli avversari alle primarie e poi vincerà di scatto anche la vera prova elettorale. Se dovesse vincere Francesca Balzani farà buon viso a cattivo gioco e la sosterrà perché non può fare altrimenti. Ma senza sorridere.

Il punto dolente è che su questo fronte lo scarto tra il capo asserragliato a palazzo Chigi e gli ufficiali scaglionati nei territori è netto. Per quelli vincere è importantissimo. Ne va della loro sorte, non possono derubricare le comunali a faccenda secondaria rispetto alle prossime elezioni politiche. Dunque fanno e ancor più faranno a gennaio il possibile per ricucire un’alleanza senza la quale rischiano di dover affrontare la tenzone sconfitti in partenza, e a Roma più che di un rischio si tratta di una certezza. Né, d’altra parte, Renzi può frenarli: prima di tutto perché vincere è comunque importantissimo anche per lui, sia pur sacrificando la Capitale, e in secondo luogo perché, data la nota pulsione unitaria sempre e comunque dell’elettorato «storico» di centrosinistra, la responsabilità della rottura è in ogni caso meglio che ricada sulle spalle dei reprobi estremisti.
Determinante, per Renzi, è che quegli inevitabili tentativi vengano messi in campo giocandosi la partita solo sulle primarie e sul nome del candidato, senza mai chiamare in causa i programmi. In quel caso, si potrà comunque dire che la sinistra è tutt’al più una quasi irrilevante forza aggiuntiva, la cui presenza in una eventuale alleanza non disturberebbe troppo l’ambito elettorato di centrodestra. Per motivi uguali e contrari, Sel ha tutto l’interesse a impostare l’intera faccenda in maniera opposta a quella del passato: non sulle primarie ma sulla definizione di un programma. La lettera dei sindaci va in quella direzione. Non c’è nulla di strano nel fatto che a Matteo Renzi non sia piaciuta affatto.

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