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Il primo partito d’Olanda ha un solo iscritto, Geert Wilders

Il primo partito d’Olanda ha un solo iscritto, Geert WildersOlanda, Geert Wilders – La Presse

Europa In vista del voto del 15 marzo

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 5 marzo 2017

È il primo partito del paese, ma in realtà non esiste. O meglio esiste solo attraverso la figura e le parole del suo discusso leader, Geert Wilders.

Malgrado raccolga i consensi di un quarto degli olandesi, il Partij voor de Vrijheid, Partito per la libertà, che si è imposto nell’ultimo decennio come il grande protagonista della politica locale grazie a uno studiato mix di islamofobia e di difesa delle conquiste dello stato sociale, ma solo per gli autoctoni, non conta un solo circolo né un singolo militante. Anzi, si basa proprio sull’iperattivismo del suo solo iscritto: lo stesso Wilders. Se la crisi, o se si preferisce il superamento della forma-partito caratterizza buona parte dell’Occidente, la nuova destra olandese è andata decisamente più avanti.

NATO NON A CASO NEL 2006 come Groep Wilders, gruppo Wilders, il Pvv è a tutti gli effetti una creatura del proprio leader che sembra essersi ispirato a quanto fatto nel 2002 da Pim Fortuyn, il sociologo anti-musulmano che prima di essere ucciso aveva lanciato una lista con il proprio nome. Se Fortuyn segnalava la crescita di uno spazio per il razzismo in Olanda, Wilders si è imposto come imprenditore dell’intolleranza, innovando la forma stessa dell’agire politico.

Interpretando alla lettera la legislazione olandese che prevede che una forza politica debba avere almeno un iscritto ma non sia obbligata a dotarsi di una precisa struttura organizzativa, Wilders ha creato una sorta di partito virtuale che vive della sola, e continua, comunicazione tra il leader e gli elettori. Il Pvv è un movimento personale nel senso letterale del termine: Wilders ne è al contempo il fondatore e il presidente, oltre che il solo aderente, mentre non esistono sezioni ne qualunque tipo di organigramma.

NEI DIECI ANNI DI VITA del partito, tutti i candidati sono stati scelti personalmente dal leader e nessuno di loro ha mai assunto una notorietà anche solo paragonabile a quella di Wilders; nella pattuglia della ventina di parlamentari che il Pvv conta attualmente all’Aja, solo l’ex giornalista Martin Bosma, indicato come l’ideologo del partito, ha i tratti di una figura pubblica degna di questo nome. Mentre non sono mancate le defezioni di eletti che hanno denunciato i metodi autoritari con cui Wilders gestisce la sua creatura. «Vogliamo evitare che le persone sbagliate possano tenere in ostaggio il partito», la replica del fondatore affidata al settimanale tedesco Spiegel. A parlare per il Pvv, come indica anche il sito del partito che contiene scarne informazioni, è così sempre e solo Wilders, in una sorta di campagna elettorale permanente combattuta via social.

Se, in vista del voto del 15 marzo, le altre formazioni hanno presentato programmi articolati, la piattaforma elettorale del Pvv è una serie di slogan che riempie a malapena una pagina A4. Allo stesso modo, invece di comizi e volantinaggi, Wilders fa tutto da solo con il suo telefonino. Va perfino poco in tv, snobbando spesso gli inviti dei talk-show e possibili domande imbarazzanti, per concentrarsi su un martellamento continuo grazie alla potenza del suo smartphone da cui partono slogan, brevi e scritti sempre in maiuscolo, alla maniera di Trump. Talvolta vere e proprie bufale, come quando ha mostrato una foto contraffatta di un avversario politico sostenendo che avesse partecipato a una manifestazione salafita.

LE CRITICHE O LA CONDANNA pubblica che fanno seguito non sembrano impensierirlo. Come ha notato Maurice de Hond, tra i più noti sondaggisti del paese, «la cosa più importante per lui è proprio il provocare la reazione dell’establishment e potersi così presentare come il nemico del politicamente corretto. I suoi sostenitori lo amano per questo più che per quello che dice».

A pochi giorni dal voto, a nessuno sembra sfuggire come questa strategia abbia già fatto di Geert Wilders il politico più noto del paese.

«Twitter è il mezzo ideale di comunicazione per i populisti – spiega Lykle de Jong dell’Università di Amsterdam che ha analizzato a lungo i tweet del leader del Pvv -, permette di saltare i media mainstream e di raggiungere comunque milioni di persone. Inoltre contribuisce a creare una falsa impressione di vicinanza tra chi riceve di continuo quei messaggi». Che farsene allora di un partito vecchio stile.

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