l consiglio dei ministri si terrà, o quale sia l’odg. Ma abbiamo visto l’agenda e le scadenze che Salvini ha notificato a Di Maio e M5S, drammaticamente indeboliti dal voto europeo. L’argomento che non cambiano i numeri in parlamento conta poco. Confermando il limite dei due mandati, Casaleggio ha messo la sopravvivenza politica del vice-premier e di larga parte dei parlamentari M5S nelle mani di Salvini, e ha consegnato alla subalternità il partito di maggioranza relativa. Se l’abbia fatto per stupidità o callido disegno politico, interessa solo i 5Stelle. Ma gli effetti collaterali ci riguardano.

Salvini rifiuta a gran voce l’immobilismo di governo. Ma nella sua agenda alcune cose sono oggi irrealizzabili. Tra queste in primis la flat tax, che costa dai 15 ai 50 miliardi circa, e non ha coperture se non in deficit. Un sentiero impervio, dopo la lettera Ue.

Tra gli obiettivi ai quali Salvini può realisticamente puntare per risultati immediati (ovviamente, a misure almeno in apparenza, senza maggiori spese), è in prima linea il regionalismo differenziato. Venduto dal mantra leghista come misura a spesa invariata di efficientamento del paese, anche nell’interesse del Mezzogiorno e della responsabilizzazione delle sue classi dirigenti.

La ministra Stefani ci informa da tempo che è solo questione di scelta politica. Nel lessico ministeriale equivale a dire: si proceda con il regionalismo differenziato a prescindere dai conti. Una scelta certo politica, ma del tutto inaccettabile. Comprensibile per chi ha visto il ministero come succursale di un assessorato della regione Veneto, e meritevole di un plebiscito da parte dei veneti. Ma gli altri? La pressione lombardo-veneta e la evidente esagerazione nelle richieste di maggiore autonomia hanno aperto sul merito e sul metodo un dibattito che non si può ora ignorare.

Quanto al metodo, non solo i meridionalisti ultras sostengono la necessità di stabilire preliminarmente i Lep (livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali), e a seguire costi e fabbisogni standard, e criteri della perequazione. Lo dicono i ministri Tria e Lezzi in sede parlamentare, lo dice la Sose, e da ultimo un documento della Ragioneria dello Stato, segreto come tutti gli altri, e tuttavia filtrato alla stampa. Questo ci porta al merito.

Perché proprio dalla mancata attuazione del complessivo meccanismo del federalismo fiscale come disegnato dall’art. 119 Cost e dalla legge 42/2009 è passata per anni la sottrazione al Mezzogiorno di miliardi di euro che avrebbero dovuto essere assegnati secondo principio. Il punto cruciale è appunto che qualunque ipotesi di regionalismo differenziato presuppone un riequilibrio. Lo dimostrano ormai cifre inoppugnabili.

Al tempo stesso, rimangono del tutto apodittiche e indimostrate le affermazioni della maggiore efficienza di un sistema paese regionalmente segmentato. La maggiore virtuosità delle amministrazioni del Nord è quotidianamente smentita dalle cronache giudiziarie. Quelle meridionali non meritano alcuna assoluzione. Ma non si può presentare il conto alla gente del Sud in termini di minori diritti e qualità di vita.

Capiamo bene che la ministra richiama la scelta politica proprio perché l’argomento dei conti si mostra insostenibile. Ma così viene in chiaro la menzogna, il colpo di mano con esiti irreversibili – come abbiamo ripetutamente scritto su queste pagine – che si vorrebbe perpetrare approfittando dell’inerte politica meridionale, con numeri taroccati, e nell’oscurità di un dibattito parlamentare addomesticato. È probabile che gli elettori del Sud non lo abbiano fin qui capito. Ma lo capirebbero quando fossero inequivocabilmente toccati nel vivere quotidiano.

Se la cosa andrà avanti nei termini attuali, prima o poi il Sud chiederà conto a Salvini delle false promesse; al Pd il perché del pre-accordo Gentiloni-Bressa, per poi tacere; a Di Maio perché abbia stipulato un contratto capestro per il Mezzogiorno, dopo averne preso i voti. E chiederà conto a M5S di aver barattato la vita di oltre 20 milioni di italiani con qualche mese o anno di permanenza sugli scranni del potere Meno di un piatto di lenticchie.