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Il pressing infinito di Letta: «Se c’è crisi si va al voto»

Enrico Letta foto LaPresseEnrico Letta – LaPresse

Quasi crisi Il leader pd cita la «pistola di Sarajevo. «Assurdo rompere adesso. Dal governo è arrivata la svolta su lavoro e precarietà»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 14 luglio 2022

«Non lo diciamo noi per ripicca: se una forza politica importante come i 5 Stelle lascia il governo cade tutto e si va al voto. È la logica delle cose». Enrico Letta ci mette tutto il carico possibile per drammatizzare lo scontro tra Draghi e i 5 stelle. Ai parlamentari dem riuniti dopo pranzo nella sala della Regina a Montecitorio, luogo solenne dove si fanno le riunioni importanti dei gruppi parlamentari, sceglie di non lasciare alcuno spiraglio a Giuseppe Conte. Nessuna via d’uscita alternativa alla fiducia a Draghi in Senato.

Il leader Pd fa sua le linea di Mario Draghi, «nessun governo senza i 5 stelle», e non lascia spazio neppure a ipotesi di esecutivi di transizione fino a febbraio. «Si va a votare». Di più: paragona i «distinguo» al colpo di pistola di Sarajevo del 1914. «Non si pensava che aprisse il più sanguinoso conflitto della storia, ma è andata così. Ci sono dei fatti che hanno conseguenze. Sappiamo che i distinguo possono diventare il colpo di pistola».

I deputati e i senatori dem ascoltano in silenzio: c’è chi avrebbe preferito più prudenza, ma l’obiettivo ora è far fare retromarcia a Conte e tutti i mezzi sono validi. Letta non gli fa sconti perché convinto, in fondo, che il pressing del leader 5 stelle sui 9 punti abbia prodotto dei risultati politici. «Martedì si è aperta una opportunità su parole che non erano nell’agenda di governo. Sarebbe paradossale mettere a rischio il governo proprio quando apre il capitolo della lotta alla precarietà».

Secondo il segretario dem nelle parole dette dal premier dopo l’incontro coi sindacati c’è stata una «svolta sociale». «Si è aperta la possibilità che nei prossimi 9 mesi il governo ottenga risultati in materia di lotta alla precarietà, riduzione delle tasse sul lavoro e salario minimo che erano assolutamente impensabili fino a 48 ore fa».
«Noi vorremo che ci fosse un governo nel pieno dei poteri quando ci sarà la riunione con le parti sociali su questi temi», ha aggiunto. «Se cade il governo quella riunione non ci sarà e noi non daremo risposte a giovani e famiglie».

Di qui l’appello rivolto a tutti i partiti della maggioranza: «Il semestre di difficoltà che abbiamo davanti richiede più responsabilità. Di fronte ad un autunno caldo le forze politiche responsabili sanno che scelte fare e le fanno. La logica di Malussène, del capro espiatorio, del dare la colpa agli altri, non ci appartiene. Prenderà voti chi darà risposte». Andrea Orlando fa il “poliziotto buono”: «Ci sono state sottovalutazioni delle istanze del M5S, non sono stati aiutati a stare nella maggioranza: ma ora bisogna evitare un fallo di reazione sproporzionato».

Letta si fa scudo dietro alle parole di Salvini, che ha evocato il voto anticipato in caso di strappo del M5S. E cita anche Berlusconi, che pure è disponibile ad andare avanti con Draghi anche con una maggioranza più ristretta. L’obiettivo è costruire una tenaglia attorno all’alleato Conte, togliendo dai radar l’ipotesi che il M5S possa starsene qualche mese all’opposizione mentre il Pd resterebbe solo in compagnia del centrodestra. «Questo è l’ultimo governo della legislatura», ribadisce in serata da Milano, dopo un’altra giornata di pressione su Conte, con cui i contatti sono costanti.

In realtà cosa accadrebbe di fronte a un non voto del Movimento sul decreto Aiuti in Senato è tutto da vedere, anche in caso di dimissioni di Draghi. Non è affatto scontato che Mattarella sciolga subito le Camere, e il Pd non potrebbe dire di no alla richiesta del Capo dello Stato di sostenere un governo tecnico che porti al voto a febbraio, dopo aver completato le scadenze del Pnrr e approvato la legge di bilancio. «L’Italia ha bisogno di un governo non di una crisi o di precipitare a elezioni a Ferragosto», spiega il segretario, e questo tradisce il suo vero obiettivo: evitare una fine disordinata della legislatura, esattamente quello che chiedono al Colle.

Quanto all’alleanza con 5S, Letta ieri non ha più minacciato di romperla. Non è un caso. «La casa del M5S è quella dei progressisti», dice Francesco Boccia. «Hanno coperto i vuoti lasciati da noi, il loro consenso nelle periferie era figlio delle amnesie della sinistra». Parole che preludono a una prosecuzione dell’alleanza. Anche in caso di elezioni in ottobre.

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